Archivi autore: Gino Buzzanga

Cosa pensano gli italiani del nuovo Decreto Lavoro?

Dall’ultimo sondaggio Ipsos, pubblicato sulle pagine del Corriere della Sera, emerge un complessivo giudizio positivo da parte del 46% dei nostri connazionali riguardo al nuovo Decreto Lavoro, varato dal Governo in occasione della Festa del Lavoro del Primo Maggio.  Ma se un 14% è più convinto, per un ulteriore 32% tale direzione dovrà essere confermata anche in futuro con il prosieguo della riduzione del cuneo fiscale, il cui termine è stabilito per la fine del 2023.
I contrari, pari al 28%, sono invece del parere che i sostegni sociali siano troppo ridotti rispetto ai bisogni reali. E che tale misura rischi di aumentare la precarietà.

Una sfida ai sindacati?

Per il 33% la scelta di varare il decreto proprio in occasione del Primo Maggio denota un chiaro intendimento da parte del Governo di volere, in qualche misura, ridimensionare l’iconografia complessiva della Festa del Lavoro, sfidando i sindacati.
Il 31% dichiara che la concomitanza fra il varo del decreto e il Primo Maggio sia stata quanto mai opportuna per dare ulteriore importanza alla celebrazione del lavoro, con gli elettori FDI al 58%, gli elettori Lega-FI-Noi moderati al 64%, mentre è di questo parere solamente il 13% dei dem e il 21% dei pentastellati. In merito ai singoli provvedimenti contenuti nel Decreto, la riduzione del cuneo fiscale convince il 48%, a fronte di un 18% che esprime un giudizio negativo, e di un 34% che non si esprime.

Lavoro a termine, voucher e Assegno di inclusione

Per quanto concerne la nuova disciplina del contratto di lavoro a termine, con l’allungamento della durata oltre i 12 mesi e fino a un massimo di 24 mesi, la contrapposizione tra favorevoli e contrari si posiziona in entrambi i casi al 32%, con un 36% di coloro che non si esprimono o non sono a conoscenza di questa modifica. L’estensione della soglia di utilizzo dei voucher per prestazioni occasionali in alcuni settori incontra il favore del 34% e la contrarietà del 31%, mentre il 36% non si esprime. L’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro dei cosiddetti occupabili sono accolti con favore dal 39%. In particolare, il 19% è convinto che tali provvedimenti riducano i rischi di abusi e frodi.

La platea è divisa, o non si esprime

Al contrario il 29% si esprime negativamente (67% elettori del Pd e 65% tra quelli del M5S) perché è del parere che tale cambiamento riduca gli importi erogati (13%) o la platea degli aventi diritto (16%), acuendo i problemi sociali. Anche in questo caso, è elevata (32%) la quota di coloro che non si esprimono sull’introduzione delle nuove norme al posto di quelle previste dal Reddito di Cittadinanza.
Nel complesso si registra un atteggiamento di maggiore favore per le misure contenute nel Decreto Lavoro da parte dei ceti produttivi e dei dipendenti del settore privato, mentre tra disoccupati e dipendenti occasionali, o con contratto a termine, prevale nettamente la quota di coloro che non si esprimono.

Criminalità informatica: italiani poco attenti, anche se già hackerati. Perchè?

Nonostante due italiani su tre sappiano cos’è il phishing, il 23% ne è caduto vittima, e di questi solo il 35% ha preso provvedimenti. Ciò conferma la tendenza a non prendere abbastanza sul serio la minaccia della criminalità informatica, nonostante la consapevolezza dei possibili pericoli e di ciò che potrebbe accadere. Secondo i risultati della ricerca Ignorance is Bliss di Kaspersky sull’atteggiamento dei consumatori nei confronti della cybersecurity, il 66% degli italiani tra 25 e 54 anni ritiene di essere informato sulla sicurezza online, ma di fatto sottovaluta i cybercriminali. La maggior parte degli utenti che cerca di proteggersi dagli attacchi di phishing blocca il numero telefonico o l’email dannosa (64,8%), si informa online sulla fonte dello scam (48,4%) o lo segnala al brand ‘imitato’ dall’attacco (34,3%). Ma non basta.

Nonostante conoscano i pericoli molti continuano a rischiare

“È chiaro che, nonostante conoscano i rischi del crimine informatico, molti adulti continuano a rischiare a causa di un approccio non corretto alla sicurezza online – commenta David Emm, Principal Security Researcher di Kaspersky -. La condivisone di informazioni personali online e non verificare le condizioni di privacy sono solo due esempi di come gli utenti si rendano vulnerabili agli attacchi informatici. Fin da piccoli ci viene insegnato che le nostre azioni hanno delle conseguenze, e questo vale anche per la sicurezza informatica. Se si spera semplicemente che le conseguenze svaniscano o che non si verifichino, è solo questione di tempo prima di subire una violazione. A mio avviso, è indispensabile un maggior impegno per spiegare le reali conseguenze di essere vittime di una frode”.

Il 55,5% non controlla le impostazioni sulla privacy, ma risponde ai quiz sui social

Secondo la ricerca, pur conoscendo i rischi la maggioranza degli italiani è disposta a condividere informazioni personali online. Il 60% ammette, infatti, di inserire informazioni personali come il proprio nome e la propria posizione sui social media.
Inoltre, è allarmante che oltre la metà degli intervistati non controlli le proprie impostazioni sulla privacy (55,5%) e risponda a quiz sui social media. Quasi il 50%, poi, utilizza ancora informazioni personali, come la squadra di calcio preferita o il nome del primo animale domestico, per ricordare le proprie password.

La diffusione del phishing si combatte con la consapevolezza

“La criminalità informatica sta diventando sempre più sofisticata e non possiamo permetterci di essere così poco attenti quando si tratta di agire. È necessario che un numero maggiore di utenti prenda sul serio la criminalità informatica, altrimenti saranno loro stessi e la prossima generazione a pagarne il prezzo”, continua David Emm.
Più consapevolezza ed educazione alla sicurezza online sono necessarie per combattere la sempre maggiore diffusione delle truffe di phishing. Non solo, anche per insegnare alle nuove generazioni i pericoli della criminalità informatica.

Nel 2023 l’88% degli italiani viaggerà di più

Dopo due anni di restrizioni torna il desiderio di viaggiare tra gli europei, sia all’interno del proprio Paese o in un altro Paese del Vecchio Continente, ma anche oltre i confini europei. In particolare, la percentuale di italiani che dichiara di voler mantenere o aumentare la frequenza dei propri viaggi è pari all’88%. Il 2023 si annuncia quindi come anno record per i viaggi. L’89% dei cittadini di Spagna, Germania, Francia, Regno Unito, prevede di fare almeno una vacanza nell’anno in corso, mentre un cittadino su cinque dichiara di voler aumentare il numero dei viaggi rispetto al passato. Sono alcuni dati rivelati dall’Osservatorio EY Future Travel Behaviours.

La spesa influisce sulle scelte

Tra i dati più significativi, quelli sulle destinazioni di viaggio: 3 europei su 4 si muoveranno all’interno del proprio Paese, 3 europei su 5 prevedono di viaggiare in un Paese del Vecchio Continente, e circa il 20% oltre i confini europei. La Spagna è al primo posto tra le mete preferiste per le vacanze in Europa, seguita da Italia e Francia Ma quali sono i fattori che influiscono maggiormente sulle scelte di viaggio? Al primo posto la spesa, specie con riferimento al diminuito potere d’acquisto dovuto alla crescita dell’inflazione. Emerge infatti una propensione al risparmio, al punto che 2 persone su 3 sarebbero disposte a cambiare le proprie abitudini di viaggio a causa di una riduzione del potere di acquisto. Ma c’è anche un 19% che pur in condizione di recessione economica non rinuncerebbe a viaggiare, sacrificando piuttosto altre voci di spesa.

Per i GenZ vacanze green

Un altro fattore che influenza i comportamenti e le intenzioni di viaggio è l’impatto ambientale. Dai test impliciti emerge che per 1 persona su 2 l’impatto ambientale è un fattore importante per le proprie scelte. Una sensibilità verso i viaggi green dimostrata anche dal fatto che 6 viaggiatori su 10 sarebbero disposti a pagare costi aggiuntivi per compensare le emissioni di CO2.
E se sono i giovani della Generazione Z a dimostrare una spiccata propensione a viaggiare, sono anche quelli maggiormente influenzati dalla sostenibilità nelle loro scelte. E per questo, ad avere necessità di informazioni sulle opzioni di viaggio sostenibili. Inoltre, la maggioranza dei giovani viaggiatori si dichiara disponibile a pagare un extra per compensare le emissioni.

Il futuro sarà a misura del viaggiatore

Tra le altre tendenze rilevate dall’Osservatorio cresce l’interesse nei confronti dei viaggi di natura ibrida, che uniscono motivi di lavoro e vacanza in forme differenti, in particolare il fenomeno workation.
Quanto ai trend del futuro per il settore, riporta Adnkronos, l’Osservatorio evidenzia la personalizzazione dell’esperienza di viaggio, che rappresenta un importante fattore di scelta per 2 interpellati su 3. Dunque, appare sempre più indicata per gli operatori del settore poter garantire un’offerta quanto più possibile su misura per tipologia di viaggiatore.

Climate change, gli italiani cosa sarebbero disposti a fare per contrastarlo?

Il 22 aprile cade un appuntamento importante, la Giornata della Terra. Un’occasione per celebrare e tutelare il nostro pianeta, un momento educativo e informativo voluto inizialmente da John Fitzgerald Kennedy e sostenuto poi dal senatore democratico Gaylord Nelson. In concomitanza con questo evento, Ipsos ha condotto un sondaggio globale intervistando persone in 29 paesi per esplorare le loro opinioni sul cambiamento climatico e su quali azioni tendano a vedere come più impattanti nel ridurre le emissioni di CO2.

Solo il 29% degli italiani pensa che la politica abbia un piano efficace

Il sondaggio mostra che in Italia solamente il 29% dei cittadini crede che il governo abbia un piano chiaro su come operare contro il cambiamento climatico. Inoltre, anche la convinzione di dover agire contro i cambiamenti climatici per salvare le future generazioni è in calo rispetto al precedente anno a causa delle altre crisi globali.

Italia leader nel cambiamento? Non esattamente

In Italia, non si pensa che il proprio paese sia leader nell’affrontare questa emergenza. Tuttavia, la maggioranza concorda nel ritenere che ciascuno dovrebbe fare di più. Il 61% del campione pensa che l’obbligo maggiore ricada sui paesi più responsabili dell’emergenza climatica, ma allo stesso tempo è consapevole del fatto che nessuno può affrontarlo da solo.
Gli intervistati hanno dimostrato di essere consci dell’importanza dell’azione individuale: sette su dieci (70%) concordano sul fatto che se ognuno facesse piccoli cambiamenti nella propria vita quotidiana, ciò potrebbe avere un grande impatto nella lotta al cambiamento climatico. Inoltre, anche se le condizioni economiche attuali sono difficili, il 41% degli italiani pensa che sia giunto il momento di investire in misure necessarie a contrastare i cambiamenti climatici, considerato anche l’impatto negativo su Paesi ormai vicini.

C’è anche chi pagherebbe più tasse contro il climate change 

In merito alle azioni messe in atto dai singoli individui c’è una quota in Italia, seppure minoritaria del 22%, che afferma di essere addirittura disposto a pagare più tasse del proprio reddito per contrastare il cambiamento climatico (il 39% si dichiara contrario). Invece, quote maggiori ritengono che sarebbero maggiormente incoraggiate a intraprendere azioni per combattere il cambiamento climatico se: avessero un incentivo finanziario o una riduzione delle tasse che permetta loro di acquistare bene e servizi rispettosi dell’ambiente (39%); avessero un facile accesso alle informazioni (29%); vedessero più chiaramente l’impatto degli eventi meteorologici causati dal clima nel proprio Paese (26%).

5G: entro il 2027 gli abbonati saranno 6 miliardi

Per il 5G le cifre sono al rialzo, e raccontano di uno scenario che entro il 2027 vedrà quasi 6 miliardi di abbonati. Alla fine del 2022 erano 1,5 miliardi. A trainare il boom del 5G sono due elementi principali: il primo è la disponibilità di più smartphone compatibili con lo standard, anche nella fascia media di prezzo, il secondo riguarda la maggiore concorrenza tra gli operatori, che ha permesso di abbassare gli abbonamenti per gli utenti. Il rapporto dell’agenzia di analisi Omdia conferma le stime di Ericsson, che mostrano un settore in forte ripresa, tanto da aggiungere quasi 140 milioni di abbonamenti ogni tre mesi. Secondo Omdia nel 2022 sono state aggiunte 455 milioni di nuove connessioni 5G in tutto il mondo (pari al 14% di crescita trimestrale sequenziale), passate dai 922 milioni nel terzo trimestre agli 1,05 miliardi nel quarto.

Il traffico dati mobile globale raggiungerà 325 exabyte a fine 2028

Secondo Ericsson alla fine del 2022 il traffico dati mobile globale totale ha raggiunto 118 exabyte al mese, e si prevede che quadruplicherà per raggiungere i 325 exabyte alla fine del 2028. Se il Nord America è leader nella diffusione delle connessioni wireless 5G, con un totale di 119 milioni di connessioni, stando a una ricerca dell’agenzia indipendente OpenSignal, in Europa l’Italia si piazza all’undicesimo posto per velocità di reti 5G, con una media di 107.3 Mbps in download, riporta Ansa.

In Italia abbonamenti mobile per il 25% degli utenti

A quanto inoltre emerge dallo studio 5G: The Next Wave almeno il 25% degli utenti italiani di smartphone vuole sottoscrivere un abbonamento 5G entro il prossimo anno. Il 40% già oggi possiede un dispositivo con capacità 5G, ma non ha ancora effettuato l’upgrade a un abbonamento, mentre il 5% naviga in 5G pur avendo uno smartphone 4G. E l’83% degli attuali utenti 5G nonostante l’aumento dei costi non è disposto a tornare al 4G. In ogni caso, la prossima ondata di utenti ha aspettative molto elevate in merito alle prestazioni del 5G, in particolare, sulla copertura di rete, mentre gli early adopter si preoccupano più dei servizi innovativi abilitati dal 5G.

Il nuovo parametro di soddisfazione dei consumatori

La percezione della disponibilità del 5G sta emergendo come il nuovo parametro di soddisfazione dei consumatori. Ai fini della percezione degli utenti, copertura geografica, copertura indoor/outdoor e presenza di hot-spot, sono più importanti rispetto alla copertura della popolazione. Infatti, nonostante in Italia il 96% della popolazione sia coperto da 5G, solo il 25% degli utenti 5G percepisce di essere connesso al 5G per più del 50% del tempo. Tra questi, riferisce riporta key4biz.it, il 75% si dichiara soddisfatto della rete di quinta generazione. Inoltre, in Italia, nel 2022 il numero di utenti 5G che usufruisce di più di tre servizi digitali è 1,5 volte superiore rispetto al 2020.

Italiani verso l’auto elettrica se dovessero cambiare macchina

Si sa che i nostri connazionali sono tradizionalmente “affezionati” alla macchina. Ma cosa potrebbe succedere de diventasse effettiva l’ipotesi avanzata dal Parlamento europeo di vietare la vendita di auto a benzina e diesel a partire dal 2035? Questa proposta ha suscitato molte discussioni in Italia. Secondo un’indagine commissionata da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat, quasi 17 milioni di italiani (il 38,7% della popolazione) opterebbero per un veicolo ibrido se dovessero cambiare auto entro il 2035. Questa percentuale raggiunge addirittura il 43% tra i rispondenti del Centro Italia. Inoltre, oltre 7,5 milioni di rispondenti (17,9%) opterebbero per una vettura completamente elettrica. Questa quota sale al 19,8% tra i cittadini del Nord Est.

I più giovani i più sensibili al tema green

Le generazioni più giovani sono quelle maggiormente propense all’acquisto di auto con alimentazione alternativa: il 43,6% degli italiani con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni sarebbe indirizzato all’acquisto di un veicolo ibrido, mentre il 26,6% dei 18-24enni sceglierebbe un’auto completamente elettrica. In caso di acquisto anche prima del 2035, il 9,9% degli italiani non comprerebbe più una vettura ma opterebbe per mezzi alternativi, mentre quasi 4 milioni si indirizzerebbero al noleggio a lungo termine.

1 su 3 sceglierebbe l’elettrico e il noleggio

Inoltre, l’indagine ha voluto indagare cosa farebbero i nostri connazionali se dovessero comprare un nuovo veicolo dopo il 2035, quando potrebbe non essere più possibile scegliere i motori a diesel o benzina. Più di 1 su 3 (quasi 15 milioni di italiani) comprerebbe un’automobile elettrica, valore che sale al 46,8% tra i 18-24enni, coloro che, per motivi anagrafici, più probabilmente effettueranno l’acquisto di un mezzo dopo il 2035. Più di 4 milioni (9,7%) sono coloro che useranno solo auto a noleggio lungo termine, mentre il 7% opterebbe per i mezzi pubblici. Tanti, circa 13,5 milioni, gli italiani che invece non hanno ancora le idee chiare su come si comporteranno in caso di acquisto dopo il 2035.

Fondamentali incentivi e infrastrutture

In conclusione, l’indagine di Facile.it conferma che gli italiani sono pronti ad abbracciare l’innovazione tecnologica nel settore dell’automobile, con un’ampia percentuale di cittadini disposti ad acquistare veicoli a alimentazione alternativa. Tuttavia, è importante che le politiche pubbliche siano in grado di supportare questo cambiamento, ad esempio con incentivi per l’acquisto di auto elettriche e la creazione di infrastrutture di ricarica adeguate.

Riforma fiscale 2023: tre aliquote Irpef e flat tax

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera alla riforma fiscale 2023, il cui obiettivo prevede l’introduzione di tre aliquote Irpef e la flat tax. Per l’Irpef, in particolare, si prevede una revisione dell’intero meccanismo di tassazione del reddito delle persone fisiche, in modo da attuare gradualmente l’obiettivo della ‘equità orizzontale’ attraverso l’individuazione di un’unica fascia di esenzione fiscale e un medesimo onere impositivo, a prescindere dalle diverse categorie di reddito prodotto. Vien privilegiata, quindi, l’equiparazione tra redditi di lavoro dipendente e redditi di pensione, riconoscendo la deducibilità delle spese sostenute per la produzione del reddito di lavoro dipendente e assimilato, e applicando, in luogo delle aliquote per scaglioni di reddito, un’imposta sostitutiva dell’Irpef e relative addizionali con aliquota agevolata su una base imponibile. Di conseguenza, viene effettuata la complessiva revisione delle tax expenditures (attualmente 600 voci e 125 miliardi di spesa).

Riduzione aliquota IRES, ma a due condizioni

La revisione del sistema di imposizione sui redditi delle società e degli enti sarà basata sulla riduzione dell’aliquota Ires qualora vengano rispettate alcune condizioni: una somma corrispondente, in tutto o in parte, al reddito sia impiegata in investimenti/nuove assunzioni, e gli utili non siano distribuiti/destinati a finalità estranee all’esercizio dell’attività d’impresa. La condizione collegata all’effettuazione degli investimenti ha lo scopo di favorire la crescita economica e l’incremento della base occupazionale, con particolare riferimento ai soggetti che necessitano di maggiore tutela, senza interferire con i vigenti regimi di decontribuzione. In questo caso, la riduzione dell’aliquota precede l’effettuazione degli investimenti, che devono essere operati entro i due periodi d’imposta successivi a quello nel quale è stato prodotto il reddito assoggettato a imposizione con l’aliquota ridotta.

Revisione dell’IVA

Per la revisione dell’imposta sul valore aggiunto (Iva) i criteri specifici prevedono la revisione della definizione dei presupposti dell’imposta al fine di renderli più aderenti alla normativa dell’Unione europea e delle norme di esenzione. In particolare, riporta Adnkronos, razionalizzazione del numero e della misura delle aliquote, revisione della disciplina della detrazione, e razionalizzazione della disciplina del gruppo Iva al fine di semplificare le misure previste per l’accesso e l’applicazione dell’istituto.

Abrogazione dell’Irap e rafforzamento dello Statuto del Contribuente 

Si dispone poi una revisione organica dell’Irap, volta all’abrogazione del tributo e la contestuale istituzione di una sovraimposta Ires, tale da assicurare un equivalente gettito fiscale per garantire il finanziamento del fabbisogno sanitario, nonché il finanziamento delle Regioni che presentano squilibri di bilancio sanitario. Inoltre, si rivede lo Statuto del Contribuente, con un consolidamento dei principi del legittimo affidamento del contribuente e della certezza del diritto, prevedendo il rafforzamento, da parte dell’ente impositore, dell’obbligo di motivazione e del diritto di accesso agli atti del procedimento tributario, funzionale al corretto dispiegarsi del diritto al contraddittorio.

Parità di genere, a che punto siamo?

L’8 marzo si celebra la Giornata Internazionale della Donna, e Ipsos ha condotto un sondaggio internazionale in collaborazione con il Global Institute for Women’s Leadership del King’s College di Londra. Se a livello internazionale la maggioranza concorda sul fatto che la disuguaglianza di genere è ancora lontana dall’essere risolta, in Italia per il 67% attualmente la disuguaglianza è in termini di diritti sociali, politici/economici. Soprattutto le donne (73% contro 61% uomini). Tuttavia, rispetto agli anni precedenti alla pandemia, quasi la metà degli italiani e delle italiane (49%, +3% vs 2019) ritiene che ci siano stati miglioramenti, e il 50% (+7% vs 2018) sostiene che la parità sarà raggiunta. Un ottimismo che però prevale principalmente tra gli uomini (57%) rispetto alle donne (42%).

Quanto è importante l’alleanza uomo-donna?

In Italia, la maggioranza (56%) ritiene che l’alleanza tra uomo e donna sia un fattore di sostegno alla parità di genere. In particolare, il 61% delle donne e il 51% degli uomini. Al contempo, per un 42% ci si aspetta che gli uomini facciano troppo per sostenere la parità: un pensiero condiviso principalmente dagli stessi uomini (47%) rispetto alle donne (37%). Inoltre, il 42% ritiene che i passi in avanti compiuti sul tema della parità di genere vadano a discapito dell’uomo, mentre il 48% crede il contrario. E il 51% degli uomini (33% donne) sostiene che continuando a promuovere l’uguaglianza di genere si rischia una discriminazione al contrario. Ma in generale, un 43% ritiene che la parità di genere sia vantaggiosa allo stesso modo per entrambi i sessi.

Sostenere la parità di genere e combattere le discriminazioni

Se il 35% ritiene però che le giovani donne abbiano una vita migliore rispetto a quelle delle loro mamme e nonne il 25% continua ad assistere a commenti sessisti da parte di amici o familiari, il 15% a discriminazioni sul luogo di lavoro e l’8% a molestie sessuali. Per contrastare le discriminazioni e contribuire a promuovere la parità di genere, il 63% ritiene che si possano intraprendere diverse iniziative. Il 27% ha parlato di uguaglianza di genere con i propri familiari/amici e il 19% ha fatto notare pubblicamente un commento sessista su una donna. Inoltre, sul luogo di lavoro, il 16% ha parlato di parità di genere e il 9% ha riportato anche esempi di discriminazioni.

Paura di difendere le donne?

Ma sebbene la maggioranza dichiari di poter agire per combattere disuguaglianze e discriminazioni di genere, nel corso degli anni aumenta la quota di quanti temono conseguenze dovute all’esposizione a difesa dei diritti delle donne (30% vs 18% 2017). Durante l’ultimo anno, ad esempio, piccole minoranze (sotto il 10%) hanno dichiarato di non essere sicure di quale sia il modo giusto per parlare di parità di genere e/o delle misure da adottare. E il 22% non ha preso provvedimenti perché non si è mai trovato in una situazione in cui ha visto un esempio di disuguaglianza di genere.

A febbraio previste 386mila assunzioni, +21,5% in un anno

Secondo il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal sono 386mila le assunzioni previste dalle imprese per il mese di febbraio, +68mila rispetto a febbraio 2022 (+21,5%) e 1,2 milioni quelle per il trimestre febbraio-aprile, +175mila con riferimento all’intero trimestre 2022 (+17,1%). La dinamica positiva della domanda di lavoro delle imprese in questi primi mesi dell’anno si conferma anche confrontando i livelli pre-Covid (febbraio 2019), rispetto ai quali si evidenzia una crescita del 15,6%, pari a +52mila assunzioni. A livello territoriale, 120mila entrate sono previste dalle imprese del Nord-Ovest, al Sud e isole 97mila, al Nord-Est 92mila, e al Centro (76mila).

Per l’industria 132mila assunzioni

A febbraio il settore dell’industria programma 132mila assunzioni. A creare maggiori opportunità di lavoro, accanto alle costruzioni (48mila lavoratori ricercati), sono alcune filiere distintive del Made in Italy del manifatturiero, con in testa la meccatronica (22mila), seguita da metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (18mila), alimentare (10mila) e industrie tessili, abbigliamento e calzature, sebbene queste ultime si attestino ancora sotto il livello pre-Covid (-15,2%). I servizi programmano 254mila ingressi, e la filiera del turismo si conferma il traino della domanda di lavoro (56mila). Consistente anche l’apporto del commercio (52mila) e dei servizi alle persone (42mila).

Cresce il mismatch tra domanda e offerta

Cresce però ancora il mismatch tra domanda e offerta, che riguarda il 46,2% dei profili ricercati, un valore superiore di circa il 6% rispetto a un anno fa. Sono difficili da reperire 178mila profili professionali: la mancanza di candidati si conferma la principale motivazione del mismatch, +5,4% rispetto al 2022, mentre restano pressoché invariate le altre motivazioni. A risentire maggiormente del mismatch sono le imprese della metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (58,5% dei profili ricercati è di difficile reperimento), le industrie del legno/mobile (56,1%), le imprese delle costruzioni (54,9%), le industrie tessili/abbigliamento/calzature (52,1%) e le imprese della meccatronica (51,5%).

Le figure professionali più difficili da reperire

Per quanto riguarda le figure professionali più difficili da reperire il Borsino Excelsior delle professioni indica specialisti nelle scienze della vita (80,7%), operai specializzati nelle rifiniture delle costruzioni (70,8%), fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori di carpenteria metallica (68,5%), tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (66,7%) e operatori della cura estetica (66,2%). I contratti a tempo determinato sono proposti a 194mila unità (50,3% del totale), seguiti dai contratti a tempo indeterminato (79mila, 20,4%), in somministrazione (44mila, 11,4%), altri contratti non alle dipendenze (31mila, 8,2%), apprendistato (21mila, 5,5%), altre forme contrattuali alle dipendenze (10mila, 2,6%) e contratti di collaborazione (6mila, 1,7%).

Smart Home, caldaie, termostati e condizionatori connessi guidano il mercato

Nel 2022 il mercato della Smart Home in Italia ha confermato un buon tasso di crescita (+18%) rispetto al 2021, arrivando a toccare quota 770 milioni di euro. Per quanto riguarda il tasso di crescita, il nostro Paese si piazza al primo posto a livello europeo. Lo rivela la ricerca Smart Home dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano, che sottolinea anche che l’aumento potrebbe essere ancor più sostenuto senza le difficoltà legate al reperimento delle materie prime e al costo dell’energia.

Quali sono i dispositivi Smart preferiti?

Quali sono i dispositivi che oggi trainano le vendite nel mercato Smart Home di casa nostra? Sono soprattutto le soluzioni più “vicine” al risparmio energetico, quali caldaie, termostati, valvole termostatiche e condizionatori connessi, a trainare le vendite, con una quota pari al 20% (150 milioni di euro). È l’area che cresce di più (+41%), favorita in particolare dalla vendita di numerose caldaie connesse, spesso abbinate ai termostati smart, che beneficiano di incentivi quali Superbonus ed Ecobonus. Seguono le soluzioni per la sicurezza, un comparto da 150 milioni di euro (19% del mercato, +20%). Un mercato trainato da soluzioni hardware quali videocamere, sensori per porte/finestre e serrature connesse, anche se inizia a crescere anche la quota di servizi. Oltre alle offerte più consolidate, legate ad abbonamenti che consentono di archiviare su cloud immagini e video, di fare chiamate automatiche di emergenza o di attivare servizi di pronto intervento in caso di allarme, iniziano a crescere le vendite di assicurazioni furto e incendio pay-per-use con premio variabile a seconda dei giorni di attivazione della polizza.

La medaglia di bronzo agli elettrodomestici smart

Al terzo posto troviamo gli elettrodomestici smart, con 140 milioni di euro (18% del mercato, +4%), un settore che ha tenuto grazie al progressivo ampliamento dell’offerta, con i principali produttori che presentano ormai l’intera gamma “connessa”. Al quarto posto troviamo gli smart speaker (137 milioni,18% del mercato, +5%), con un rallentamento del trend di crescita dovuto in gran parte alla progressiva saturazione del mercato, che vede sempre più abitazioni già dotate di uno o più speaker al loro interno. La rimanente quota del mercato è costituita da casse audio (9%, +10%), lampadine (7%, +9%), serie civili connesse (4%, +55%), smart plug (prese elettriche intelligenti, 2%, +25%), dispositivi per gestire tende e tapparelle da remoto (2%, +31%) e soluzioni di Assisted Living (1%, +12%).