Milano è la città più multata della Lombardia

Milano, con 151 milioni di euro, è la città che nel 2022 in Lombardia ha incassato i maggiori proventi derivanti da sanzioni legate all’accertamento delle violazioni al Codice della Strada, ma è anche prima a livello nazionale. Nella graduatoria regionale seguono Brescia (11 milioni) e Bergamo (7 milioni), mentre sul versante opposto della classifica, la prima è Sondrio, con quasi 343mila euro, Lodi (369mila) e Cremona (quasi 1,2 milioni di euro). Emerge dall’analisi congiunta Facile.it e Assicurazione.it, realizzata esaminando i rendiconto dei proventi delle violazioni del Codice della Strada pubblicati dalle città capoluogo lombarde.

Nel 2022 in media 174 euro di multe pro capite

Nel 2022 l’importo complessivo raccolto nella regione supera 193 milioni e mezzo di euro, valore che fa guadagnare alla Lombardia il primo posto nella classifica nazionale. Confrontando le somme incassate con il numero di autovetture e motocicli iscritti nei registri della motorizzazione, la classifica lombarda cambia, anche se in prima posizione si trovano ancora i guidatori milanesi. Dai dati ufficiali ACI fanno capo a Milano oltre 870.000 veicoli tra auto e moto, e nel 2022 la ‘spesa pro capite’ per multe legate alle violazioni del Codice della Strada è stata di 174 euro, importo che fa guadagnare ai guidatori meneghini il primato dei più multati d’Italia.

I conducenti lodigiani sono i più virtuosi

Nella graduatoria regionale in seconda posizione si posizionano i conducenti pavesi (quarti nella classifica nazionale) che in media nel 2022 hanno dovuto pagare contravvenzioni pari a 129 euro di importo, mentre al terzo posto i mantovani, dove la ‘multa pro capite’ è pari a 92 euro.
Ai piedi del podio si trova Lecco (84 euro), seguita da Brescia (79 euro), Bergamo (78 euro), Varese (43 euro), Monza (42 euro) e Como, dove automobilisti e motociclisti, in media, hanno dovuto sostenere multe di importo pari a 34 euro. Sanzioni al di sotto dei 30 euro per Sondrio (23 euro), Cremona (22 euro) e Lodi, provincia che con una multa pro capite di soli 12 euro chiude la classifica della Lombardia.

Le contravvenzioni per eccesso di velocità

Limitando l’analisi ai soli proventi derivanti da violazioni ai limiti massimi di velocità emerge che tra le città capoluogo lombarde quella con i maggiori incassi è ancora una volta Milano, con poco meno di 13 milioni di euro nel 2022. Secondo posto ancora per Brescia (quasi 2 milioni di euro), mentre al terzo si classifica Cremona (quasi 310mila euro). Complessivamente, le città capoluogo di provincia lombarde hanno incassato, nel 2022, quasi 15,5 milioni di euro provenienti da violazioni dei limiti massimi di velocità.

Social media: li frequenta oltre il 60% della popolazione mondiale

A indagare sulla propagazione dei social network, ‘bolle’ dove oramai tutto si può fare e chiunque può essere raggiunto, è uno studio di Kepios: oggi il numero di utenti attivi dei social media è esattamente 4,88 miliardi, il 60,6% della popolazione mondiale, mentre oltre il 64% utilizza Internet. Secondo una stima ufficiale delle Nazioni Unite all’inizio del 2023 la popolazione mondiale ha raggiunto 8,01 miliardi. Il numero degli utenti dei social è quindi a un passo dai 5,19 miliardi di persone che utilizzano Internet, pari al 64,5% della popolazione globale. Inoltre, chi naviga nel recinto dei social passa sempre più tempo sulle piattaforme, e in media ne utilizza sette.

Gli utenti sono cresciuti del 3,7% nell’ultimo anno

Ma mentre gli utenti dei social sono cresciuti del 3,7% nell’ultimo anno, l’aumento degli internauti è rimasto inferiore all’1%. Un effetto del rallentamento post pandemia dopo la forte spinta alla digitalizzazione impressa dal Covid-19. Sull’uso dei social media esistono però grandi differenze tra le diverse aree del mondo. Ad esempio, nell’Africa orientale e centrale solo una persona su 11 utilizza i social media: del resto si tratta di un’area dove è bassa anche la diffusione di Internet. Mentre in India, tra le nazioni più popolose al mondo, la proporzione di chi usa i social è di uno su tre.

Una media di 2 ore e 26 minuti al giorno

Secondo la ricerca, inoltre, la quantità di tempo trascorso sulle piattaforme social è aumentata di due minuti, arrivando a una media di 2 ore e 26 minuti al giorno.
Anche in questo caso si rilevano grandi disparità, con i brasiliani che trascorrono in media 3 ore e 49 minuti al giorno sui social, mentre i giapponesi meno di un’ora. Più della metà degli utenti globali dei social network, poi, sono uomini (53,6%), sebbene il rapporto riconosca una certa inesattezza dovuta alle persone registrate con identità diverse o agli account automatizzati, i cosiddetti bot, una ‘piaga’ di tutte le piattaforme.

Si moltiplicano le bacheche virtuali

Gli utenti dei social network frequentano in media più di sette piattaforme. Meta, di proprietà di Mark Zuckerberg, possiede tre delle app preferite dagli utenti, WhatsApp, Instagram e Facebook.
La Cina conta tre app, WeChat, TikTok e la sua versione locale che si chiama Douyin.
Twitter, Messenger e Telegram completano la lista delle piattaforme più seguite. Ma Twitter, secondo il Pew Reasearch Center americano, dopo l’acquisto da parte di Elon Musk ha perso molti utenti negli Stati Uniti. Nonostante il moltiplicarsi delle bacheche virtuali, riporta Ansa, l’intera rete dei social network sembra però poggiare sul modello matematico del ‘piccolo mondo’. Una ricerca pubblicata su Physical Review X ha dimostrato che su queste piattaforme vale la teoria dei sei gradi di separazione, elaborata nel 1967 dallo psicologo americano Stanley Milgram, per cui bastano al massimo sei passi virtuali per raggiungere una persona.

Intelligenza Artificiale: quali percezioni, aspettative e impatto sulla vita quotidiana?

L’Intelligenza Artificiale si sta diffondendo sempre di più, e la nuova indagine globale di Ipsos sull’evoluzione delle percezioni e delle aspettative in merito all’AI rivela entusiasmo ma anche timore per il potenziale impatto su vari aspetti della vita. In media, nei 31 Paesi oggetto dell’indagine, due terzi degli intervistati (67%) affermano di avere una buona conoscenza di cosa sia l’Intelligenza artificiale, ma soltanto la metà (51%) dichiara di sapere quali prodotti e servizi la utilizzano. In Italia il 53% degli intervistati dichiara di avere una buona conoscenza di cosa si intenda per Intelligenza artificiale, e il 50% conosce quale tipologia di prodotti e servizi la sfruttano.

Sentimenti contrastanti nell’opinione pubblica

A livello globale il 54% degli intervistati concorda sul fatto che i servizi basati sull’AI presentino più vantaggi che svantaggi e la medesima quota ne è entusiasta.
Tuttavia, circa la stessa percentuale (52%) dichiara di essere nervoso pensando ai prodotti e i servizi basati sull’AI. La sensazione di entusiasmo è minore in Nord America e in Europa (in Italia i dati sono in linea con la media internazionale) ed è maggiore nei mercati emergenti, tra la GenZ e i Millennials, così come tra le persone con istruzione universitaria. Al contrario, il senso di nervosismo è più alto nei Paesi prevalentemente anglofoni e più basso in Giappone, Corea del Sud ed Europa orientale.

Una fiducia variabile

La fiducia nell’AI è generalmente più alta nei mercati emergenti e tra gli under40, rispetto ai Paesi ad alto reddito e a Generazione X e Boomers.
Anche in questo caso, i dati italiani sono in linea con la media internazionale. In linea con la media internazionale, il 44% degli italiani ritiene che i prodotti e i servizi che utilizzano l’Intelligenza Artificiale abbiano profondamente cambiato la propria vita negli ultimi anni. Allo stesso modo, il 63% degli italiani si aspetta che l’AI cambierà significativamente la propria vita nei prossimi anni.
Tra i lavoratori globali, in media, il 57% si aspetta che l’AI cambi il modo in cui svolgono il loro attuale lavoro e il 36% che lo sostituisca del tutto. Percentuali più alte nel Sud-Est asiatico (e più basse nel Nord Europa con differenze fino a 50 punti), tra i più giovani e i decision maker.

L’AI migliorerà la nostra vita?

A livello globale, poco più della metà degli intervistati prevede che l’aumento dell’uso dell’AI nei prossimi tre-cinque anni darà loro più tempo (54%) oppure migliorerà le opzioni di intrattenimento (51%). Il 39% ritiene che l’aumento dell’uso dell’AI migliorerà la propria salute, il proprio lavoro (37%), l’economia del proprio Paese (34%) e in generale il mercato del lavoro (32%).
In Italia si registra un maggior scettiscismo. In particolare, meno della metà delle persone intervistate ritiene che darà loro più tempo (48%), migliorerà le opzioni di intrattenimento (45%), la propria salute (37%), il proprio lavoro (32%), il mercato del lavoro (30%) e l’economia del proprio Paese (29%).

Avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro: sale la spesa in investimenti digitali

Nel 2022, avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro italiani hanno investito complessivamente 1,765 miliardi di euro in tecnologie digitali, mantenendo una cifra in linea con il 2021 (+0,4%). Tuttavia, nonostante la crisi energetica e delle supply chain degli ultimi due anni abbiano avuto un impatto finanziario sull’ecosistema professionale, stabilizzando gli investimenti, le previsioni per il 2023 sono più ottimistiche. La spesa digitale dovrebbe registrare una crescita del 7%, raggiungendo un valore stimato di poco meno di 1,9 miliardi di euro. 

Investimenti diversi a seconda delle categorie professionali 

Le spese tecnologiche variano notevolmente tra le diverse categorie degli studi professionali. Le organizzazioni multidisciplinari continuano ad investire mediamente di più rispetto alle altre categorie, con una spesa digitale media di 25.060 euro, seguite dai consulenti del lavoro con 11.950 euro, i commercialisti con 11.390 euro e gli avvocati con 8.890 euro. Il 41% degli studi multidisciplinari investe più di 10.000 euro, rispetto al 34% dei consulenti del lavoro, al 23% dei commercialisti e all’11% degli avvocati. Quasi sette studi legali su dieci investono al massimo 3.000 euro all’anno in tecnologie. La categoria legale è anche quella che riscontra maggiori difficoltà di redditività, con solo il 57% degli studi in positivo nel biennio 2021-2022, rispetto a una media di oltre il 70% per le altre discipline.

Qualche nube sul futuro

In questo contesto, gli studi professionali esprimono pessimismo per il futuro della professione. Negli studi monodisciplinari, gli ottimisti rappresentano una minoranza (38% degli avvocati, 41% dei commercialisti, 45% dei consulenti del lavoro), mentre negli studi multidisciplinari il 59% si mostra ottimista. Il principale pericolo per il futuro, secondo i professionisti, è rappresentato dalle diverse piattaforme digitali, alcune delle quali utilizzano anche l’intelligenza artificiale, che potrebbero sostituire le attività più standardizzate. Questo è evidenziato dal 40% degli avvocati, dal 37% dei commercialisti e dei consulenti per il lavoro e dal 35% degli studi multidisciplinari.
Il secondo pericolo per i professionisti è la difficoltà di assumere personale per supportare la crescita dello studio, mentre il terzo è la difficoltà di realizzare il passaggio generazionale. Emerge la difficoltà di attrarre e trattenere i giovani, principalmente a causa della bassa retribuzione (soprattutto per il 56% degli avvocati e il 41% dei commercialisti e degli studi multidisciplinari), della mancanza di percorsi di carriera strutturati (43% degli avvocati e 42% degli studi multidisciplinari) e di uno scarso equilibrio tra lavoro e vita privata (54% dei commercialisti, 50% degli studi multidisciplinari e 38% degli avvocati e dei consulenti del lavoro).

Obiettivo: rendere più snelli i processi lavorativi

I risultati provengono dalla ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno “Studi professionali, una nuova visione digitale per attrarre i giovani e far evolvere i clienti”. Claudio Rorato, Responsabile scientifico e Direttore dell’Osservatorio, sottolinea l’importanza per gli studi professionali di comprendere quali vie percorrere per migliorare la gestione caratteristica delle imprese, rendere più snelli i processi lavorativi, e supportare i processi decisionali con strumenti e informazioni per generare nuove visioni.
Le tecnologie più diffuse negli studi includono la fatturazione elettronica e le videochiamate, utilizzate da oltre l’80% di tutti gli studi. Altri strumenti come VPN e piattaforme di eLearning sono diffusi in modo variabile tra le diverse categorie professionali. Tuttavia, l’aggiornamento tecnologico avviene ancora a tassi contenuti, segno di un rinnovamento lento nei modelli organizzativi e di business. Le tecnologie di frontiera, come il CRM, l’intelligenza artificiale e la blockchain, sono ancora poco diffuse.

Estate 2023: vacanze più brevi alla scoperta del Belpaese


Inflazione e caro vita non demoralizzano gli italiani: quest’estate il 95% andrà in vacanza, anche se per 4 su 10 sarà più breve del passato, verso destinazioni più vicine (30%) e in Italia (81%).
Secondo la ricerca AstraRicerche per Emma Villas oltre la metà dei vacanzieri è pronta a spendere fino a 1.500 euro a settimana, 7 su 10 faranno più di una vacanza nei prossimi 12 mesi, e oltre il 68% vorrebbe vivere l’esperienza di soggiornare in una dimora di pregio. Una passione confermata dall’Osservatorio Emma Villas, che per la stagione estiva segna +62% nel numero delle settimane prenotate in ville e casali di pregio rispetto al 2019, per un totale di 4.931 settimane prenotate tra giugno e settembre.

Meno last minute: vince la programmazione

Il viaggiatore italiano sa cosa vuole e come ottenerlo, non punta più sul last minute (quasi 8 su 10 hanno già prenotato la vacanza) e non vuole rinunciare al tempo libero, soprattutto in ferie (il 74% spegnerà i dispositivi). Solo 2 italiani su 5 scelgono di alternare il lavoro alle vacanze, prediligendo la worktation. Ma molto meglio star via meno giorni e in un luogo di pregio. Si spiega così il boom delle prenotazioni tra giugno e settembre per ville e casali di pregio. Per chi sceglierà questa soluzione, il mese preferito sarà luglio che vede già ora oltre 1.600 settimane prenotate, a fronte di quasi 5mila settimane prenotate per il solo periodo estivo.

Vacation rental: un sogno accessibile all’insegna del pregio

Una villa a uso esclusivo da condividere con amici o familiari potrebbe essere la soluzione ideale per la maggior parte degli italiani. Si tratta, infatti, di un’opzione di vacanza desiderata da quasi 7 italiani su 10, che nella scelta di questa tipologia di vacanza indicano tra i fattori essenziali una location appartata e indipendente, ma vicina a luoghi di interesse culturale (36%), con debole pressione turistica (32%), a uso esclusivo (31%) e in una località iconica (27%). Un sogno per cui 1 italiano su 2 è addirittura disposto a rinunciare ad andare a cena fuori durante l’anno, acquistare prodotti pregiati (29%) o nuovi vestiti (27%) pur di potersela permettere.

Meta preferita? Il mare, meglio se alla scoperta di sapori nuovi

Per gli italiani la vacanza è ancora sinonimo di mare (50%), cultura (37,4%), enogastronomia (31,3%) e relax (36,0%). Inoltre, gli italiani amano viaggiare con gli amici, un must per 1 italiano su 4, con percentuali che aumentano tra gli abitanti del sud (34%) e i più giovani (39%). In generale, l’Italia sarà la meta preferita per oltre l’80% degli italiani, mentre il 15% punta alle destinazioni oltre frontiera. In ogni caso, sul podio regnano incontrastate Salento (30%), Costiera Amalfitana (29%) e sud della Sardegna (27%). E se sono i lombardi i turisti più vacanzieri (oltre 28%), si prevede la presenza massiccia di statunitensi (18%), seguiti da inglesi e tedeschi.

La global economy è in ritirata: come internazionalizzare il mercato?

Dal crash finanziario del 2008, che ha segnato un profondo mutamento nel movimento del capitale a livello internazionale, a guerra e pandemia, che hanno messo a dura prova la libera circolazione di merci e persone, dopo decenni la Global Economy entra in crisi. Una ricerca promossa da Calicantus, BigCommerce e Upskill 4.0 evidenzia tre modelli di imprese che oggi possono sopravvivere a questa crisi. Imprese multinazionali capaci di personalizzare l’offerta con prodotti regionali e promuovendo l’assunzione di risorse umane locali, aziende tecnologiche che forniscono prodotti in grado di superare qualsiasi frontiera, e imprese di nicchia (Made in Italy) che si distinguono per un prodotto riconoscibile, particolare, e possono sfruttare il commercio digitale per imporsi nel mercato internazionale.

Un cambio di strategia per il Made in Italy

Per il Made in Italy l’impatto del digitale ha contribuito a creare un modello di business volto alla flessibilità produttiva, derivata dall’interazione con il cliente finale. Secondo uno studio di Banca IFIS e l’Università, l’87,5% delle Top Pmi afferma che le tecnologie svolgono il ruolo di abilitatore per competere in termini di flessibilità e personalizzazione dell’offerta, il 76% nell’efficienza del processo produttivo e per il 64,6% migliora la competitività internazionale. Il 35,4% poi sostiene che la digitalizzazione possa migliorare la sostenibilità ambientale.

Valorizzare la capacità di comunicare investendo in un’infrastruttura digitale

La strategia per le imprese italiane si fonda dunque sul valore della relazione con il cliente. Nella ricerca condotta da Casaleggio Associati, il 47% delle imprese preferisce infatti una presenza internazionale grazie all’e-commerce gestito in modo autonomo. Di questi, solo il 7% è presente a livello mondiale con i marketplace. La soluzione è quindi nella valorizzazione della capacità di dialogare e comunicare, investendo in un’infrastruttura digitale che consenta di monitorare e quantificare i dati, gestire le interazioni, e convertire in valore economico.
L’82% delle aziende è già dotata di un sistema CRM, e il 67% dei dirigenti marketing ritengono l’utilizzo di marketing analytics essenziale per la competitività, citando un aumento di profitto dal 5 al 15%.

Le risorse: tecnologia e persone

Per gestire e spiegare la complessità di un prodotto è indispensabile attrezzarsi con un backoffice strutturato: un sistema di tecnologie che assicuri regole, efficienza e sia in grado di gestire un’economia di scala. La leva per poter attivare la crescita sono dati, numeri, ma anche le persone. Ma oggi le Pmi trovano nella disponibilità di competenze adeguate l’ostacolo principale nell’adozione delle nuove tecnologie. La lunghezza dei tempi di implementazione dei sistemi tecnologici, probabilmente determinata dalle limitate competenze specifiche in azienda, è un altro fattore determinante per l’evoluzione delle aziende verso il 4.0. Competenza e professionalità scarseggiano, eppure sono fondamentali per cavalcare le sfide dei mercati. In questo contesto, il sistema rallenta le iniziative e mette in allerta gli imprenditori sull’investire in progetti innovativi.

Connected Car & Mobility, il settore accelera nel 2022

Il settore delle auto connesse e della mobilità smart ha continuato a registrare una crescita significativa nel 2022. In Italia, il mercato della Connected Car & Mobility ha raggiunto un valore di 2,5 miliardi di euro, con un aumento del 16% rispetto all’anno precedente. Questo risultato è ancora più notevole considerando le sfide legate alla carenza di semiconduttori e materie prime, oltre all’instabilità economica e politica causata dalla guerra in Ucraina. 

Le soluzioni per l’auto connessa segnano un +10%

La crescita è stata trainata principalmente dalle soluzioni per l’auto connessa, che hanno raggiunto un valore di 1,4 miliardi di euro, con un aumento del 10% in un anno. A queste si sono aggiunti i sistemi di Advanced Driver Assistance Systems (ADAS), come la frenata automatica d’emergenza o il mantenimento del veicolo in corsia, che hanno raggiunto un valore di 740 milioni di euro, con un aumento del 16%. Le soluzioni per la Smart Mobility nelle città, come la gestione dei parcheggi e la sharing mobility, hanno raggiunto un valore di 340 milioni di euro, con un aumento del 48%. Inoltre, la diffusione delle auto connesse è aumentata, con 19,7 milioni di auto connesse in Italia alla fine del 2022, rappresentando il 50% del parco circolante e un’auto su tre per ogni abitante.

Al via le sperimentazioni delle smart road

Nel settore delle auto connesse, sono iniziate le prime sperimentazioni delle smart road. A livello mondiale, sono stati identificati 190 progetti a partire dal 2015, di cui ben 63 sono stati avviati nel 2022, rappresentando un aumento del 43% rispetto all’anno precedente. In Italia, sono state avviate 15 iniziative nel biennio 2021-2022, tra cui la A35 BreBeMi, la A4 Torino-Milano e la A2 Salerno-Reggio Calabria.

Le sfide per l’industria automobilistica italiana

Secondo l’Osservatorio Connected Car & Mobility della School of Management del Politecnico di Milano, il settore dell’auto e della mobilità sta affrontando profondi cambiamenti. Ci sono nuove sfide per l’industria automobilistica italiana e le istituzioni, con impatti diretti e indiretti sull’accettazione dei consumatori finali. Allo stesso tempo, la Smart Mobility sta diventando sempre più importante in Italia grazie alla proliferazione dei progetti e alle opportunità offerte dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). In un contesto caratterizzato da problemi critici come la crisi dei chip, le difficoltà nell’approvvigionamento di componenti e l’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia, l’evoluzione tecnologica svolge un ruolo chiave per consentire alle aziende di rimanere competitive e creare nuove opportunità di crescita in futuro. Tra le varie tecnologie disponibili, la connettività è considerata una delle più promettenti.

Cosa pensano gli italiani del nuovo Decreto Lavoro?

Dall’ultimo sondaggio Ipsos, pubblicato sulle pagine del Corriere della Sera, emerge un complessivo giudizio positivo da parte del 46% dei nostri connazionali riguardo al nuovo Decreto Lavoro, varato dal Governo in occasione della Festa del Lavoro del Primo Maggio.  Ma se un 14% è più convinto, per un ulteriore 32% tale direzione dovrà essere confermata anche in futuro con il prosieguo della riduzione del cuneo fiscale, il cui termine è stabilito per la fine del 2023.
I contrari, pari al 28%, sono invece del parere che i sostegni sociali siano troppo ridotti rispetto ai bisogni reali. E che tale misura rischi di aumentare la precarietà.

Una sfida ai sindacati?

Per il 33% la scelta di varare il decreto proprio in occasione del Primo Maggio denota un chiaro intendimento da parte del Governo di volere, in qualche misura, ridimensionare l’iconografia complessiva della Festa del Lavoro, sfidando i sindacati.
Il 31% dichiara che la concomitanza fra il varo del decreto e il Primo Maggio sia stata quanto mai opportuna per dare ulteriore importanza alla celebrazione del lavoro, con gli elettori FDI al 58%, gli elettori Lega-FI-Noi moderati al 64%, mentre è di questo parere solamente il 13% dei dem e il 21% dei pentastellati. In merito ai singoli provvedimenti contenuti nel Decreto, la riduzione del cuneo fiscale convince il 48%, a fronte di un 18% che esprime un giudizio negativo, e di un 34% che non si esprime.

Lavoro a termine, voucher e Assegno di inclusione

Per quanto concerne la nuova disciplina del contratto di lavoro a termine, con l’allungamento della durata oltre i 12 mesi e fino a un massimo di 24 mesi, la contrapposizione tra favorevoli e contrari si posiziona in entrambi i casi al 32%, con un 36% di coloro che non si esprimono o non sono a conoscenza di questa modifica. L’estensione della soglia di utilizzo dei voucher per prestazioni occasionali in alcuni settori incontra il favore del 34% e la contrarietà del 31%, mentre il 36% non si esprime. L’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro dei cosiddetti occupabili sono accolti con favore dal 39%. In particolare, il 19% è convinto che tali provvedimenti riducano i rischi di abusi e frodi.

La platea è divisa, o non si esprime

Al contrario il 29% si esprime negativamente (67% elettori del Pd e 65% tra quelli del M5S) perché è del parere che tale cambiamento riduca gli importi erogati (13%) o la platea degli aventi diritto (16%), acuendo i problemi sociali. Anche in questo caso, è elevata (32%) la quota di coloro che non si esprimono sull’introduzione delle nuove norme al posto di quelle previste dal Reddito di Cittadinanza.
Nel complesso si registra un atteggiamento di maggiore favore per le misure contenute nel Decreto Lavoro da parte dei ceti produttivi e dei dipendenti del settore privato, mentre tra disoccupati e dipendenti occasionali, o con contratto a termine, prevale nettamente la quota di coloro che non si esprimono.

Criminalità informatica: italiani poco attenti, anche se già hackerati. Perchè?

Nonostante due italiani su tre sappiano cos’è il phishing, il 23% ne è caduto vittima, e di questi solo il 35% ha preso provvedimenti. Ciò conferma la tendenza a non prendere abbastanza sul serio la minaccia della criminalità informatica, nonostante la consapevolezza dei possibili pericoli e di ciò che potrebbe accadere. Secondo i risultati della ricerca Ignorance is Bliss di Kaspersky sull’atteggiamento dei consumatori nei confronti della cybersecurity, il 66% degli italiani tra 25 e 54 anni ritiene di essere informato sulla sicurezza online, ma di fatto sottovaluta i cybercriminali. La maggior parte degli utenti che cerca di proteggersi dagli attacchi di phishing blocca il numero telefonico o l’email dannosa (64,8%), si informa online sulla fonte dello scam (48,4%) o lo segnala al brand ‘imitato’ dall’attacco (34,3%). Ma non basta.

Nonostante conoscano i pericoli molti continuano a rischiare

“È chiaro che, nonostante conoscano i rischi del crimine informatico, molti adulti continuano a rischiare a causa di un approccio non corretto alla sicurezza online – commenta David Emm, Principal Security Researcher di Kaspersky -. La condivisone di informazioni personali online e non verificare le condizioni di privacy sono solo due esempi di come gli utenti si rendano vulnerabili agli attacchi informatici. Fin da piccoli ci viene insegnato che le nostre azioni hanno delle conseguenze, e questo vale anche per la sicurezza informatica. Se si spera semplicemente che le conseguenze svaniscano o che non si verifichino, è solo questione di tempo prima di subire una violazione. A mio avviso, è indispensabile un maggior impegno per spiegare le reali conseguenze di essere vittime di una frode”.

Il 55,5% non controlla le impostazioni sulla privacy, ma risponde ai quiz sui social

Secondo la ricerca, pur conoscendo i rischi la maggioranza degli italiani è disposta a condividere informazioni personali online. Il 60% ammette, infatti, di inserire informazioni personali come il proprio nome e la propria posizione sui social media.
Inoltre, è allarmante che oltre la metà degli intervistati non controlli le proprie impostazioni sulla privacy (55,5%) e risponda a quiz sui social media. Quasi il 50%, poi, utilizza ancora informazioni personali, come la squadra di calcio preferita o il nome del primo animale domestico, per ricordare le proprie password.

La diffusione del phishing si combatte con la consapevolezza

“La criminalità informatica sta diventando sempre più sofisticata e non possiamo permetterci di essere così poco attenti quando si tratta di agire. È necessario che un numero maggiore di utenti prenda sul serio la criminalità informatica, altrimenti saranno loro stessi e la prossima generazione a pagarne il prezzo”, continua David Emm.
Più consapevolezza ed educazione alla sicurezza online sono necessarie per combattere la sempre maggiore diffusione delle truffe di phishing. Non solo, anche per insegnare alle nuove generazioni i pericoli della criminalità informatica.

Nel 2023 l’88% degli italiani viaggerà di più

Dopo due anni di restrizioni torna il desiderio di viaggiare tra gli europei, sia all’interno del proprio Paese o in un altro Paese del Vecchio Continente, ma anche oltre i confini europei. In particolare, la percentuale di italiani che dichiara di voler mantenere o aumentare la frequenza dei propri viaggi è pari all’88%. Il 2023 si annuncia quindi come anno record per i viaggi. L’89% dei cittadini di Spagna, Germania, Francia, Regno Unito, prevede di fare almeno una vacanza nell’anno in corso, mentre un cittadino su cinque dichiara di voler aumentare il numero dei viaggi rispetto al passato. Sono alcuni dati rivelati dall’Osservatorio EY Future Travel Behaviours.

La spesa influisce sulle scelte

Tra i dati più significativi, quelli sulle destinazioni di viaggio: 3 europei su 4 si muoveranno all’interno del proprio Paese, 3 europei su 5 prevedono di viaggiare in un Paese del Vecchio Continente, e circa il 20% oltre i confini europei. La Spagna è al primo posto tra le mete preferiste per le vacanze in Europa, seguita da Italia e Francia Ma quali sono i fattori che influiscono maggiormente sulle scelte di viaggio? Al primo posto la spesa, specie con riferimento al diminuito potere d’acquisto dovuto alla crescita dell’inflazione. Emerge infatti una propensione al risparmio, al punto che 2 persone su 3 sarebbero disposte a cambiare le proprie abitudini di viaggio a causa di una riduzione del potere di acquisto. Ma c’è anche un 19% che pur in condizione di recessione economica non rinuncerebbe a viaggiare, sacrificando piuttosto altre voci di spesa.

Per i GenZ vacanze green

Un altro fattore che influenza i comportamenti e le intenzioni di viaggio è l’impatto ambientale. Dai test impliciti emerge che per 1 persona su 2 l’impatto ambientale è un fattore importante per le proprie scelte. Una sensibilità verso i viaggi green dimostrata anche dal fatto che 6 viaggiatori su 10 sarebbero disposti a pagare costi aggiuntivi per compensare le emissioni di CO2.
E se sono i giovani della Generazione Z a dimostrare una spiccata propensione a viaggiare, sono anche quelli maggiormente influenzati dalla sostenibilità nelle loro scelte. E per questo, ad avere necessità di informazioni sulle opzioni di viaggio sostenibili. Inoltre, la maggioranza dei giovani viaggiatori si dichiara disponibile a pagare un extra per compensare le emissioni.

Il futuro sarà a misura del viaggiatore

Tra le altre tendenze rilevate dall’Osservatorio cresce l’interesse nei confronti dei viaggi di natura ibrida, che uniscono motivi di lavoro e vacanza in forme differenti, in particolare il fenomeno workation.
Quanto ai trend del futuro per il settore, riporta Adnkronos, l’Osservatorio evidenzia la personalizzazione dell’esperienza di viaggio, che rappresenta un importante fattore di scelta per 2 interpellati su 3. Dunque, appare sempre più indicata per gli operatori del settore poter garantire un’offerta quanto più possibile su misura per tipologia di viaggiatore.