Part time, in Italia più che una scelta è un ripiego

Il part time un lusso professionale? Forse una volta, adesso non più. Un tempo, infatti, la possibilità di lavorare per metà giornata o per un numero di ore minore a settimana era una vera e propria aspirazione per mamme con bambini piccoli ma anche per studenti e studentesse, che potevano proseguire il loro percorso di studi con la sicurezza di un’entrata economica.

Oggi invece è un “ripiego”

Insomma, se raccontato così il pet time sembra un ‘opportunità validissima per molti, nella realtà odierna non è proprio così. E soprattutto non è una scelta. “Nella maggior parte dei casi non è la disponibilità di maggior tempo libero a spingere gli italiani ad abbracciare il part time quanto invece la difficoltà nel trovare un lavoro a tempo pieno” spiega a questo proposito Carola Adami, CEO della società di ricerca e selezione del personale Adami&Associati. Il contratto a tempo parziale, dunque, sembra aver perso la sua valenza originale, per diventare invece un vero e proprio ripiego, del quale è più facile vedere gli svantaggi che i benefici.

I numeri ufficiali

In merito non mancano dati ufficiali. I numeri Eurostat  sono eloquenti: guardando ai dati del 2017, il 63,5% dei lavoratori part-time tra i 15 e i 64 anni ha dichiarato di aver accettato questo contratto per l’impossibilità di trovare un contratto full-time. Si tratta di una fetta di lavoratori che  è diminuita di quasi 2 punti percentuali rispetto al 2016, ma resta pur sempre di molto maggiore rispetto allo stesso dato del 2008: prima della crisi, infatti, il part-time era una scelta ‘obbligata’ e non voluta dal 41,3% degli intervistati. In Europa, attualmente, solo Grecia e Cipro hanno percentuali maggiori, laddove la media dei Paesi UE si ferma al 26,4%. Dati molto diversi per la Germania, dove solo l’11,3% degli intervistati ha accettato un part-time come ripiego. Altra informazione che emerge dalle analisi è che il part-time, in Italia, non viene utilizzato per continuare gli studi: solo il 2,1% degli intervistati riferisce che il lavorare a tempo parziale rappresenta un espediente per proseguire il proprio percorso educativo. Nel Regno Unito, questa percentuale raggiunge il 12,9%. “Va peraltro sottolineato il fatto per cui l’Italia, tra tutti i membri UE, è anche il Paese in cui i lavoratori part-time sono cresciuti di più negli ultimi anni: si parla infatti di quasi 10 punti in più percentuali tra il 2002 e il 2015” ha detto Adami.

La posizione delle aziende

Ancora, sembra che determinate aziende concedano malvolentieri il part-time. “Per questioni puramente organizzative le realtà del manifatturiero e le piccole aziende non sono portate a concedere i part-time ai propri dipendenti, laddove invece il tempo parziale è molto comune nel pubblico” ha concluso l’esperta.