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A febbraio previste 386mila assunzioni, +21,5% in un anno

Secondo il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal sono 386mila le assunzioni previste dalle imprese per il mese di febbraio, +68mila rispetto a febbraio 2022 (+21,5%) e 1,2 milioni quelle per il trimestre febbraio-aprile, +175mila con riferimento all’intero trimestre 2022 (+17,1%). La dinamica positiva della domanda di lavoro delle imprese in questi primi mesi dell’anno si conferma anche confrontando i livelli pre-Covid (febbraio 2019), rispetto ai quali si evidenzia una crescita del 15,6%, pari a +52mila assunzioni. A livello territoriale, 120mila entrate sono previste dalle imprese del Nord-Ovest, al Sud e isole 97mila, al Nord-Est 92mila, e al Centro (76mila).

Per l’industria 132mila assunzioni

A febbraio il settore dell’industria programma 132mila assunzioni. A creare maggiori opportunità di lavoro, accanto alle costruzioni (48mila lavoratori ricercati), sono alcune filiere distintive del Made in Italy del manifatturiero, con in testa la meccatronica (22mila), seguita da metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (18mila), alimentare (10mila) e industrie tessili, abbigliamento e calzature, sebbene queste ultime si attestino ancora sotto il livello pre-Covid (-15,2%). I servizi programmano 254mila ingressi, e la filiera del turismo si conferma il traino della domanda di lavoro (56mila). Consistente anche l’apporto del commercio (52mila) e dei servizi alle persone (42mila).

Cresce il mismatch tra domanda e offerta

Cresce però ancora il mismatch tra domanda e offerta, che riguarda il 46,2% dei profili ricercati, un valore superiore di circa il 6% rispetto a un anno fa. Sono difficili da reperire 178mila profili professionali: la mancanza di candidati si conferma la principale motivazione del mismatch, +5,4% rispetto al 2022, mentre restano pressoché invariate le altre motivazioni. A risentire maggiormente del mismatch sono le imprese della metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (58,5% dei profili ricercati è di difficile reperimento), le industrie del legno/mobile (56,1%), le imprese delle costruzioni (54,9%), le industrie tessili/abbigliamento/calzature (52,1%) e le imprese della meccatronica (51,5%).

Le figure professionali più difficili da reperire

Per quanto riguarda le figure professionali più difficili da reperire il Borsino Excelsior delle professioni indica specialisti nelle scienze della vita (80,7%), operai specializzati nelle rifiniture delle costruzioni (70,8%), fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori di carpenteria metallica (68,5%), tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (66,7%) e operatori della cura estetica (66,2%). I contratti a tempo determinato sono proposti a 194mila unità (50,3% del totale), seguiti dai contratti a tempo indeterminato (79mila, 20,4%), in somministrazione (44mila, 11,4%), altri contratti non alle dipendenze (31mila, 8,2%), apprendistato (21mila, 5,5%), altre forme contrattuali alle dipendenze (10mila, 2,6%) e contratti di collaborazione (6mila, 1,7%).

Buy Now Pay Later, i consumatori dicono sì o no?

Come si possono pagare gli acquisti effettuati online? Con la costante crescita dell’e-commerce, è evidente che anche le modalità di pagamento diventino sempre più diversificate e tailor made. In quest’ottica si inseriscono il credito al consumo e in particolare il Buy Now Pay Later (BNPL). Quest’ultimo è il finanziamento a breve termine offerto dal venditore che consente al consumatore di acquistare il prodotto o il servizio ora e pagarlo in futuro, di solito senza interessi. In generale, si tratta di somme tutto sommato contenute e che non richiedono controlli. Per scoprire quale sia l’opinione dei cittadini in merito a queste nuove formule, SWG ha condotto un sondaggio dedicato.

La percezione su queste formule

Nel 2022 quasi un quarto ha acquistato a rate, uno su dieci ha sperimentato soluzioni Buy Now Pay Later, soprattutto giovani e lavoratori autonomi. Il 28% del campione intervistato è propenso a utilizzare la soluzione BNPL in futuro, ma un 40% è ancora restio per paura di perdere il controllo sulle proprie uscite. In ogni caso, sebben qualche dubbio, il giudizio è positivo. Il credito al consumo è ritenuto utile dalla maggioranza dei consumatori, on un 56% degli intervistati favorevoli. Il 20% dei rispondenti si dichiara indifferente,, il 17% pensa che queste formule siano dannose e il 7% le ritiene fondamentale.

La comodità di pagare dopo

Già nel 2021 in Europa, l’8% delle vendite online è avvenuto con questa modalità. Il credito al consumo è in generale giudicato uno strumento utile dalla maggioranza dei cittadini. È invece una quota minoritaria a ritenere dannose queste soluzioni, con i più istruiti che presentano la diffidenza maggiore. Parlando del Buy Now Pay Later, sono ben il 10% dei consumatori italiani ad averlo usato nell’ultimo anno, soprattutto giovani under-35 e lavoratori autonomi, seppure non in modo regolare. È infatti il 40% degli italiani a giudicare rischiosa questa soluzione (si teme di perdere il controllo sulle proprie uscite) contro un 28% che si dichiara propenso a servirsene, affascinato dall’idea di rimandare il pagamento senza interessi. A differenza delle altre forme di credito, il sistema Buy Now Pay Later non richiede al consumatore un’attestazione della propria solvibilità e/o capacità di pagare. Ciò è considerato scorretto dalla maggioranza che ritiene che questa forma di indebitamento possa non essere percepita come tale e spingere a spese superflue anche chi non può permettersele.

Quanto siamo intolleranti sui social? Ancora moltissimo, soprattutto con i più deboli

Il mondo cambia di continuo, e noi? Forse non abbastanza, quantomeno per quanto riguarda l’intolleranza. Ancora oggi, infatti, il nostro linguaggio è all’insegna dell’odio, specie nei confronti delle minoranze. Lo rivela la VII edizione della Mappa dell’Intolleranza 7.0 voluta da Vox Osservatorio Italiano sui Diritti, che fotografa il linguaggio via social. Al suo settimo anno di rilevazione, la mappatura consente l’estrazione e la geolocalizzazione dei tweet che contengono parole considerate sensibili e mira a identificare le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa, diretta verso 6 gruppi: donne, persone omosessuali, migranti, persone con disabilità, ebrei e musulmani. Si tenta di rilevare il sentimento che anima le communities online, ritenute significative per la garanzia di anonimato che spesso offrono e per l’interattività che garantiscono.
Il 2022, anno in cui è stata condotta l’analisi (precisamente nel periodo gennaio-ottobre) è stato contraddistinto da forti tensioni anche a livello internazionale. La guerra in Ucraina, la crisi energetica, le elezioni politiche hanno contribuito a creare un tessuto endemico di tensione e polarizzazione dei conflitti. 

Aumentano esponenzialmente i tweet negativi

Un dato su tutti fotografa al meglio la realtà che oggi rappresenta l’odio online e il ruolo di cinghia di trasmissione che i social svolgono tra i mass media tradizionali, la politica e alcune sacche di forte malcontento, che trovano sfogo ed espressione proprio nelle praterie dei nuovi media: la forte polarizzazione rappresentata dall’aumento notevolissimo delle percentuali dei tweet negativi a fronte del totale dei tweet rilevati. Il che indica una maggiore radicalizzazione dei discorsi d’odio. Fenomeno, questo, già registrato nella rilevazione dello scorso anno, ma quest’anno decisamente esploso. Ad oggi stiamo dunque assistendo a una verticalizzazione del fenomeno di odio online, per il quale la diffusività iniziale ha lasciato il posto a un modello di dinamiche sociali sempre più incisive e polarizzate. A un allargamento delle possibilità di scelta delle piattaforme social, corrisponde una selettività maggiore di messaggi di esclusione, intolleranza e discriminazione. In relazione a questi aspetti, risulta utile sottolineare il ruolo giocato dai mass media tradizionali nell’orientare e influenzare questa tipologia di comunicazione e narrativa. A questo proposito, si ritiene utile e necessaria una riflessione futura di più ampio respiro sulla consapevolezza di questo ruolo e delle sue implicazioni sociali.

I più fragili i più presi di mira

Altro elemento emerso riguarda il podio delle categorie prese di mira: le donne, le persone con disabilità, le persone omosessuali. Riguardo proprio alle persone omosessuali vale la pena rilevare che l’odio nei loro confronti si era progressivamente attenuato negli anni, fino a rappresentare una percentuale minima sul totale. Negli anni, lo stesso discorso vale per le persone con disabilità. Appare dunque evidente che una delle connotazioni dell’odio online rilevate dalla Mappa  è una forte concentrazione sui diritti della persona, sia essa donna, gay o disabile. A tal proposito, riferisce Adnkronos, emerge sempre di più la necessità di educare all’uso dei social network e di ripensare le relazioni fra mass media, piattaforme e utenti, al fine di prevenire forme sempre più radicali di odio, che possono superare i confini della dimensione online e tradursi in atti concreti come i femminicidi o i sempre più frequenti attacchi di bullismo.

In Italia aumenta la ricchezza dei più ricchi

Tra il 2020 e il 2021 cresce la concentrazione della ricchezza in Italia: la quota detenuta dal 10% più ricco, 6 volte quanto posseduto alla metà più povera della popolazione, aumenta dell’1,3% su base annua, a fronte della stabilità del 20% più povero e del calo delle quote di ricchezza degli altri decili della popolazione. A fine 2021 la ricchezza del 5% più ricco degli italiani (titolare del 41,7% della ricchezza nazionale netta) era superiore a quella detenuta dall’80% più povero (31,4%). I super ricchi con patrimoni superiori a 5 milioni di dollari (0,134% degli italiani) erano titolari di un ammontare di ricchezza equivalente a quella posseduta dal 60% degli italiani più poveri. È quanto emerge da La disuguaglianza non conosce crisi, il rapporto pubblicato da Oxfam in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos.

Il 7,5% delle famiglie è indigente 

Nel 2022 il valore delle fortune dei super-ricchi italiani (14 in più rispetto a fine 2019) mostra ancora un incremento di quasi 13 miliardi di dollari (+8,8%) rispetto al periodo pre-pandemico. Seppur attenuata dai trasferimenti pubblici emergenziali, nel 2020 cresce la disuguaglianza dei redditi netti, per cui l’Italia si colloca tra gli ultimi paesi nell’Ue. La povertà assoluta interessa il 7,5% delle famiglie (1 milione 960mila) e 5,6 milioni di individui. Un fenomeno allarmante che ha visto raddoppiare in 16 anni la quota di famiglie con un livello di spesa insufficiente a garantirsi uno standard di vita accettabile.

Salari insufficienti a contrastare l’aumento dell’inflazione

Nuovi accordi tra le parti sociali sono particolarmente necessari per i circa 6,3 milioni di dipendenti del settore privato in attesa del rinnovo dei contratti nazionali. Lavoratori che rischiano, con le attuali regole di indicizzazione, di vedere un adeguamento dei salari, calati del 6,6% nei primi nove mesi 2022, insufficiente a contrastare l’aumento dell’inflazione.  Se il miglioramento del mercato del lavoro italiano nel 2022 dovrà essere valutato alla luce dei rischi di una nuova recessione, restano irrisolti i nodi strutturali della crisi del lavoro nel nostro Paese: ridotta partecipazione al mercato del lavoro della componente giovanile e femminile, crescenti disuguaglianze retributive, ricorso a forme di lavoro non standard, e conseguente diffusione del lavoro povero. 

Trattamenti fiscali iniqui premiano i più avvantaggiati

La riduzione delle disuguaglianze è una questione cui nessun governo ha attribuito centralità d’azione. La nuova stagione politica si sta contraddistinguendo più per il riconoscimento di contesti e individui già avvantaggiati che per la tutela dei soggetti più deboli. Invece di rendere più equo ed efficiente il reddito di cittadinanza, riporta Adnkronos, lo si abroga dal 2024, adottando per il 2023 un approccio categoriale alla povertà, che vede nell’impossibilità di lavorare, e non nella condizione di bisogno, il titolo d’accesso al supporto pubblico. Invece di porre fine a iniqui trattamenti fiscali differenziati, si rafforzano regimi come la flat-tax, e invece di puntare a un contrasto all’evasione fiscale, ci si prodiga in interventi condonistici che sviliscono la fedeltà fiscale e incentivano comportamenti opportunistici.

Rc auto: nel 2023 rincari per oltre 815.000 automobilisti

Sono oltre 815.000 gli automobilisti italiani che nel 2023 dovranno fare i conti con un peggioramento della propria classe di merito, e vedranno aumentare il costo del premio Rc auto.  La brutta notizia riguarda gli assicurati che nel 2022 hanno dichiarato un incidente con colpa. Notizie negative però anche per gli automobilisti virtuosi, dal momento che negli ultimi 12 mesi le tariffe delle polizze auto sono tornate a crescere. I dati dell’Osservatorio di Facile.it mostrano infatti che in Italia a dicembre 2022 per assicurare un veicolo a quattro ruote occorrevano, in media, 458,06 euro, ovvero il 7,23% in più rispetto a dicembre 2021. Secondo l’analisi di Facile.it, realizzata su un campione di oltre 720mila preventivi raccolti a dicembre 2022, il numero di automobilisti colpiti dai rincari è in crescita del 2% rispetto allo scorso anno.

La Liguria è la regione più “colpevole”

Se a livello nazionale la percentuale di automobilisti che hanno dichiarato un sinistro con colpa è pari al 2,51%, su base regionale emergono differenze significative. Analizzando la graduatoria è ancora una volta la Liguria a guidare la classifica degli automobilisti più ‘colpevoli’, tanto che nella regione il 3,32% dei guidatori nel 2023 vedrà aumentare il costo dell’Rc auto. Agli automobilisti liguri seguono quelli del Lazio (3,05) e del Piemonte (3,02%), mentre le percentuali più basse si rilevano in Calabria (1,52%), Basilicata (1,87%) e Molise (2,02%).

Agenti di commercio, pensionati e liberi professionisti fanno più incidenti

Quanto al profilo degli automobilisti che vedranno scattare gli aumenti, la prima evidenza riguarda il genere: la percentuale di coloro che hanno dichiarato un sinistro con colpa è pari al 2,32% fra gli uomini, un valore più basso rispetto a quella rilevato tra le donne (2,84%). Quanto invece alle fasce anagrafiche, in assoluto emerge che ad avere denunciato il minor numero di incidenti con colpa sono gli automobilisti nella fascia di età tra 19 e 21 anni. Tra loro, la percentuale di chi vedrà peggiorare la classe di merito è pari appena all’1,74%, mentre tra i 25-34enni è pari al 2,23%. Il valore più alto si registra invece tra gli over 65 (3,10%). Considerando la professione dell’assicurato, è la categoria degli agenti di commercio che in percentuale ha dichiarato con più frequenza un sinistro con colpa (3,16%). A loro seguono i pensionati (3,04%) e i liberi professionisti (2,73%).

Più di 700.000 assicurati sono morosi

I rincari all’Rc auto arrivano in un momento sfavorevole per le famiglie italiane già alle prese con l’inflazione e il conseguente aumento dei prezzi su tanti beni e servizi. Tanto che un’indagine commissionata da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat mostra come a causa dell’incremento generalizzato dei costi nei soli primi nove mesi del 2022 più di 700.000 automobilisti hanno saltato il pagamento del rinnovo dell’assicurazione auto. Una platea di morosi che potrebbe allargarsi ulteriormente, se si considera che sono oltre 1,5 milioni gli italiani che hanno ammesso di poter essere obbligati a saltare il prossimo rinnovo in caso di ulteriori rincari.

Nuovi rincari per i mutui a tasso variabile?

Secondo le attese sembra ormai certo un nuovo aumento dei tassi di interesse, che questa volta potrebbero salire di 50 punti base, con inevitabili ricadute sulle rate dei mutui variabili. Il 15 dicembre si è tenuta infatti l’ultima riunione della Banca Centrale Europea, e secondo le simulazioni di Facile.it, a seguito del nuovo incremento, per un mutuo variabile medio nei prossimi mesi la rata mensile potrebbe aumentare di quasi 35 euro. Con un aggravio complessivo di circa +39% rispetto a inizio anno. La stima di Facile.it sull’impatto dell’aumento non tiene in considerazione l’ammortamento della quota capitale, elemento che potrebbe variare in base alle caratteristiche del mutuo.

“L’Euribor tende a cambiare sulla base delle aspettative dei tassi BCE”

“L’Euribor, l’indice di riferimento per i mutui a tasso variabile, tende a cambiare sulla base delle aspettative dei tassi BCE, ma non è detto che lo faccia in misura uguale. Per capire quindi come varieranno nel concreto le rate dei mutuatari, bisognerà aspettare di vedere come l’indice si muoverà rispetto alle decisioni della Banca Centrale -, spiega Ivano Cresto, Managing Director prodotti di finanziamento di Facile.it -. In ogni caso, l’impatto dell’aumento sarà differente per ciascun mutuatario in base ad alcuni fattori, tra cui l’importo residuo del finanziamento e il numero di rate mancanti. Il consiglio per chi ha un mutuo variabile è di stabilire la soglia massima oltre la quale la rata potrebbe diventare insostenibile”.

A dicembre la rata è arrivata a circa 602 euro

Facile.it ha preso in esame un finanziamento a tasso variabile da 126.000 euro in 25 anni (LTV 70%, Euribor3m+1,25%), sottoscritto a gennaio 2022, analizzando come è cresciuta la rata da inizio anno a oggi e come potrebbe ulteriormente salire nei prossimi mesi ipotizzando due scenari. Un aumento dell’Euribor di 0,50% e uno di 0,75%. Il tasso (Tan) di partenza sottoscritto a gennaio e usato nell’analisi è pari a 0,67%, corrispondente a una rata mensile di 456 euro. Se nella prima parte del 2022 le rate sono cresciute del +13 euro da gennaio a giugno, a partire da luglio gli indici dei mutui hanno iniziato a salire in modo consistente, e dopo i tre aumenti dei tassi da parte della BCE, a dicembre la rata è arrivata a circa 602 euro, quasi 150 euro in più rispetto a quella iniziale.

Costo del denaro: aumento di 50 o 75 punti base?

Se la BCE dovesse confermare un nuovo aumento del costo del denaro di 50 punti base, ipotizzando che l’Euribor cresca in modo analogo, la rata mensile del mutuatario salirebbe, nei prossimi mesi, a circa 636 euro, vale a dire quasi 35 euro in più rispetto a oggi e 180 in più rispetto a inizio anno (+39%).
Se invece l’aumento fosse più alto e pari a 75 punti base, la rata potrebbe addirittura arrivare a circa 653 euro: oltre 50 euro in più rispetto a oggi, e 197 euro in più se paragonata a quella di inizio anno.

Ristorante: se etico e green è molto meglio

Sapere che un locale è attento all’ambiente, utilizza prodotti biologici, magari a km zero, e riduce la sua impronta ambientale attraverso l’uso di energia green, lo fa preferire a un ristorante che offre un menu migliore. Da quanto emerge da un’indagine condotta dall’Università Popolare degli studi di Milano, non è solo il cibo a indirizzare le scelte dei consumatori quando si parla di ristoranti, ma anche la sostenibilità e l’eticità. Per il 71% degli intervistati la sostenibilità infatti incide fortemente nella scelta del ristorante. Ma un altro aspetto importante per i clienti è anche l’eticità con cui viene trattato il personale. Sapere che un ristoratore tratta in modo corretto i propri collaboratori è motivo di preferenza per circa 2 intervistati su 3 (61%).

“Un team soddisfatto e appagato lavora meglio”

“Un team soddisfatto e appagato lavora meglio e produce di più e si sente maggiormente coinvolto nel business, prendendone più a cuore anche i risultati – commenta Emiliano Citi, Ceo & Founder di RistoBusiness -. E questo genera vantaggi per entrambe le parti, che sono apprezzabili già nel breve periodo: da un lato, l’imprenditore ha entrate più alte, dall’altro, il maggior flusso di cassa garantisce ai collaboratori un lavoro regolare e ben retribuito”.
Un esempio di questo ragionamento è proprio la sede che ospiterà Restaurant for Future, organizzato da RistoBusiness a Fico, il grande parco del cibo a Bologna.
“Mentre in tutta Italia bar e ristoranti sono in grandi difficoltà per i costi da sostenere in questo periodo di crisi, dentro Fico i ristoratori non subiscono il caro bollette grazie al modello energetico virtuoso del parco”, spiega Stefano Cigarini, amministratore delegato di Fico Eataly World.

Fico: un esempio di sostenibilità “a metro zero”

“Fico è un esempio di sostenibilità non solo per le sue caratteristiche strutturali, ma anche per l’impiego di materiali compostabili da parte di tutti i suoi operatori e per il suo sistema circolare ‘a metro zero’ – aggiunge Stefano Cigarini -: le eccellenze alimentari prodotte dalle fabbriche di Fico vengono infatti utilizzate e somministrate da tutti i ristoratori delle diverse aree: una sorta di grande mercato condiviso nel rispetto della sostenibilità a 360°”.

L’Ape blu: la stella Michelin della cucina etica

Sono oltre 700 gli imprenditori della ristorazione che saranno presenti a Restaurant for Future, riferisce Adnkronos. Tra i relatori, il divulgatore scientifico Luca Mercalli e Federico Quaranta, conduttore radio e tv. Tanti i temi che verranno messi sul tavolo, dalle prospettive future a cosa fare per uscire dalla crisi. Tra le proposte anche l’introduzione del bollino Ape blu, che indica la sostenibilità per i ristoranti, come le stelle Michelin fanno con la qualità della cucina e del servizio. Si parlerà poi anche di rincari energetici e delle materie prime, che stanno costringendo molte attività alla chiusura, la difficoltà nel reperire personale, ma anche la questione del lavoro nero.

Settimana della moda: il conversato web di Parigi e Milano a confronto

La moda è un argomento tra i più diffusi sui social, da sempre attenti alle nuove tendenze in ambito fashion. Con la conclusione della Parigi Fashion Week, avvenuta lo scorso 4 ottobre, il team digital & social listening di BVA Doxa,tramite la piattaformaTalkwalker, ha comparato il conversato relativo alla settimana della moda di Milano e Parigi. La share of voice relativa alle rispettive Fashion Week segna la netta predominanza del conversato generato da Parigi, che tra blog, news, social network e forum copre il 77% del traffico complessivo attinente i due eventi.

Parigi punta su Instagram

Per storia e tradizione la Fashion Week di Parigi è da sempre considerata l’appuntamento più prestigioso, poiché vanta il calendario più lungo e un maggior numero di maison partecipanti. La maggior risonanza prodotta dalla Fashion Week parigina appare ancora più evidente dall’andamento del conversato nel tempo, che raggiunge il picco massimo il 2 ottobre, con oltre 71mila post, mentre la Fashion Week milanese stabilisce il suo record il 23 settembre (13.000 risultati).  Altri fattori hanno però contribuito ad alimentare ulteriormente il conversato in rete intorno a questo evento. La Parigi Fashion Week punta molto su Instagram (oltre 740mila follower) e non fa ricorso a Facebook, agganciandosi ai canali della Fédération de la Haute Couture et de la Mode, come Twitter (12,4mila utenti).

Milano: un unico account su Twitter

La Milano Fashion Week nel suo sito web rimanda invece a un unico account, quello su Twitter (oltre 17,3mila follower), e sfrutta i canali della Camera di Commercio della Moda, come Facebook (oltre 110mila seguaci), mentre Instagram è ancora inattivo. Entrambe le manifestazioni hanno aperto però un canale su Weibo, il social network più diffuso nella Repubblica Cinese. A determinare il boom di conversato sulla Parigi Fashion Week sono però anche gli account social delle personalità koreane del mondo K-Pop, un trend già rilevato, seppur in misura più contenuta, anche durante la Fashion Week milanese.
Un’altra motivazione è ricondotta al clamore mediatico suscitato dal video della sfilata finale del brand Coperni, al centro del post più interagito sulla Parigi Fashion Week. La clip, pubblicata sul canale TikTok di Vogue Magazine, ha totalizzato oltre 10 milioni di visualizzazioni, e più di 1,4 milioni di like.

Il fattore “wow”   

Anche nel caso della Fashion Week di Milano il fattore ‘wow’ ha esercitato il suo fascino sul pubblico social: il contenuto che ha generato l’engagement maggiore riguarda la sfilata di Gucci. Il post su TikTok ha generato 20 milioni di visualizzazioni e più di 540mila like. Non è un caso che i contenuti più virali del web provengano da TikTok: il mondo della moda è il comparto che forse più di tutti sta sfruttando le potenzialità del social per parlare al pubblico della GenZ, il più attento alle nuove tendenze. Tanto che spesso è fonte di ispirazione per le case di moda alla ricerca di nuovi trend, e rappresenta la clientela del futuro.

Perchè 2 italiani su 3 sorridono a “bocca chiusa”?

Lo studio Italiani e sorriso, commissionato da Straumann Group, evidenzia il ruolo chiave della bocca per gli italiani. Secondo il 37% degli intervistati, la bocca rappresenta una delle parti più intime del corpo, per il 29% è uno strumento indispensabile per comunicare, e per il 21% è una parte del viso da curare all’esterno e all’interno. Innumerevoli, poi, le sue funzioni: parlare (30%), mangiare (25%), baciare (20%), trasmettere uno stato d’animo (19%). Ma sono molteplici anche gli stati d’animo che le persone manifestano attraverso la bocca, felicità (67%), sorpresa/stupore (59%), perplessità (56%), disaccordo (41%) e tristezza (45%).
Se è proprio il viso, e in particolare la bocca, a esprimere lo stato d’animo, è il sorriso il vero specchio dell’anima. Lo pensa, rispettivamente il 34% e il 38% degli italiani.

Il “buon” sorriso si vede dalla bocca 

La bocca, quindi, è la traduttrice simultanea più versatile dei nostri stati d’animo e nel ventaglio delle sue possibilità espressive il sorriso occupa il primo posto. Ma l’indagine rivela che il 61% degli italiani sorride a bocca chiusa, mentre soltanto il 39% lo fa a bocca aperta.
“Il sorriso a bocca chiusa si carica di significati – commenta Katia Vignoli, docente alla Scuola di specializzazione in psicoterapia e alla Scuola di Naturopatia dell’Istituto Riza -: tenere la bocca chiusa è sbarrare l’accesso al mondo, e mima un grande ‘No’ alla vita. Aprire la bocca, invece, non è solo respirare, mangiare, parlare – aggiunge Vignoli -, è un grande ‘Sì’ alla vita: significa permettere alla vita di entrare dentro di noi, consentire a noi stessi di uscire arricchiti o trasformati da questo scambio”.

Quando i denti generano insicurezza

Quali sono le ragioni per cui gli italiani, quando sorridono, non mostrano i denti? Insicurezza legata all’aspetto fisico (67%), disabitudine legata all’uso della mascherina (63%), timidezza (60%) e poca cura della cavità orale (56%). Quest’ultimo è un aspetto che potrebbe essere migliorato e che secondo l’indagine, induce emozioni negative nelle persone consapevoli di non avere un sorriso curato, quali insicurezza (59%), imbarazzo (43%), vergogna (39%) e malumore (33%). Di contro, una bocca curata fa sentire più belli (67%), più sicuri con gli interlocutori (55%) e in salute (51%), oltre a migliorare l’autostima (47%).

Il ruolo della pandemia e dell’uso della mascherina

Per il 31% delle persone, la mancata cura della propria bocca è strettamente correlata al periodo pandemico e all’uso della mascherina. Il 27% attribuisce invece le ragioni al costo delle visite dentistiche oppure a problemi economici, il 20% a una minor frequenza con cui ci si rapporta alle persone, mentre il 15% a un’attenzione bassa per l’igiene. L’indagine rivela però che il ‘trend negativo’ è a un punto di svolta: il 61% degli italiani si prenderà maggiore cura della propria bocca, per via della diminuzione delle misure restrittive, l’uso meno frequente delle mascherine e l’aumento degli incontri in presenza, con un conseguente probabile incremento dei sorrisi.

Italiani preoccupati per l’inflazione: come si contrasta il caro vita?

Una delle principali preoccupazioni attuali degli italiani – già comunque “provati” dalla pandemia, dalla situazione internazionale e nazionale, dall’aumento delle materie prime – è l’inflazione, che sembra aver preso il galoppo. Complici le diverse situazioni ben note a tutti, resta il fatto che i nostri connazionali sono in tensione per quanto riguarda il loro presente e l’immediato futuro. Ovviamente, i timori riguardano l’aumento del costo di beni e servizi nei prossimi sei mesi, e il conseguente rischio di dover rivedere il proprio stile di vita. Insomma, la preoccupazione per l’inflazione in Italia nel 2022 è elevata, come rivelano gli ultimi sondaggi e osservatori di Ipsos.

I principali timori 

Ipsos evidenzia che, con riferimento alla propria situazione finanziaria, il 77% degli intervistati a livello globale manifesta  preoccupazione per l’aumento dei prezzi di beni e servizi nei prossimi sei mesi. Non solo: il 56% è preoccupato per la propria capacità di pagare bollette di luce gas, specialmente nei mercati emergenti. Tra le economie consolidate, in Gran Bretagna il 67% degli intervistati esprime preoccupazione. Il 54% è preoccupato di non riuscire più ad acquistare beni e servizi che compravano abitualmente. Le percentuali più alte si registrano in Turchia (80%), Sud Africa (73%) e Argentina (69%). Ma quali saranno i maggiori rincari, e in quali settori, secondo l’opinione pubblica? In media, a livello internazionale, il 76% dei rispondenti prevede un aumento del costo dei prodotti alimentari. Una percentuale simile (73%), invece, prevede un aumento del costo di luce e gas e il 71% del costo della benzina per gli autoveicoli. Le aspettative dell’opinione pubblica sull’aumento dei prezzi nel 2022 sono più elevate nelle categorie a maggiore impatto. Sei intervistati su dieci affermano che l’aumento dei prezzi relativo alla spesa alimentare avrebbe un impatto ancor più negativo sulla qualità della vita, seguiti dal 51% che considera l’impatto derivante dall’aumento del prezzo dei servizi pubblici e del carburante (42%).

Le azioni per contrastare gli aumenti

Le potenziali azioni dei consumatori per fronteggiare il peso dell’inflazione e l’aumento del costo della vita sono focalizzate sul taglio delle spese considerate superflue e non necessarie. Se l’aumento dei prezzi significasse non poter più permettersi l’abituale stile di vita, quasi la metà degli intervistati (46%) afferma di diminuire la spesa per attività di socializzazione (cinema, bar, abbonamenti ai media, etc…) e il 44% di ritardare importanti decisioni di acquisto (mobili, automobili, elettrodomestici, etc…). Meno probabili, invece, sono le azioni incentrate sul cambiamento dei comportamenti: tre su dieci affermano che, a fronte di costi crescenti, consumerebbero meno energia o utilizzerebbero di meno l’automobile per risparmiare carburante (entrambi il 29%) e un quarto cercherebbe di risparmiare sulla spesa alimentare (26%). Anche i cambiamenti nell’occupazione sono meno comuni. Tra i lavoratori dei 28 Paesi esaminati, in media, soltanto il 18% cercherebbe un’occupazione maggiormente retribuita presso un altro datore di lavoro e il 12% afferma che chiederebbe un aumento di stipendio.