Archivi categoria: Tecnologia

Smart Home, caldaie, termostati e condizionatori connessi guidano il mercato

Nel 2022 il mercato della Smart Home in Italia ha confermato un buon tasso di crescita (+18%) rispetto al 2021, arrivando a toccare quota 770 milioni di euro. Per quanto riguarda il tasso di crescita, il nostro Paese si piazza al primo posto a livello europeo. Lo rivela la ricerca Smart Home dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano, che sottolinea anche che l’aumento potrebbe essere ancor più sostenuto senza le difficoltà legate al reperimento delle materie prime e al costo dell’energia.

Quali sono i dispositivi Smart preferiti?

Quali sono i dispositivi che oggi trainano le vendite nel mercato Smart Home di casa nostra? Sono soprattutto le soluzioni più “vicine” al risparmio energetico, quali caldaie, termostati, valvole termostatiche e condizionatori connessi, a trainare le vendite, con una quota pari al 20% (150 milioni di euro). È l’area che cresce di più (+41%), favorita in particolare dalla vendita di numerose caldaie connesse, spesso abbinate ai termostati smart, che beneficiano di incentivi quali Superbonus ed Ecobonus. Seguono le soluzioni per la sicurezza, un comparto da 150 milioni di euro (19% del mercato, +20%). Un mercato trainato da soluzioni hardware quali videocamere, sensori per porte/finestre e serrature connesse, anche se inizia a crescere anche la quota di servizi. Oltre alle offerte più consolidate, legate ad abbonamenti che consentono di archiviare su cloud immagini e video, di fare chiamate automatiche di emergenza o di attivare servizi di pronto intervento in caso di allarme, iniziano a crescere le vendite di assicurazioni furto e incendio pay-per-use con premio variabile a seconda dei giorni di attivazione della polizza.

La medaglia di bronzo agli elettrodomestici smart

Al terzo posto troviamo gli elettrodomestici smart, con 140 milioni di euro (18% del mercato, +4%), un settore che ha tenuto grazie al progressivo ampliamento dell’offerta, con i principali produttori che presentano ormai l’intera gamma “connessa”. Al quarto posto troviamo gli smart speaker (137 milioni,18% del mercato, +5%), con un rallentamento del trend di crescita dovuto in gran parte alla progressiva saturazione del mercato, che vede sempre più abitazioni già dotate di uno o più speaker al loro interno. La rimanente quota del mercato è costituita da casse audio (9%, +10%), lampadine (7%, +9%), serie civili connesse (4%, +55%), smart plug (prese elettriche intelligenti, 2%, +25%), dispositivi per gestire tende e tapparelle da remoto (2%, +31%) e soluzioni di Assisted Living (1%, +12%).

Facebook Dating: arrivano i video selfie per impedire l’accesso ai minori

Facebook Dating, l’app di incontri del social netwok, ora alza le barriere agli under 18. Le novità introdotte da Meta, al momento operative solo negli Stati Uniti, consistono in due strumenti, il caricamento del documentario di identità e i video selfie. La seconda opzione è stata già testata su Instagram da giugno, ma la novità arriverà anche in Italia e negli altri Paesi in cui è disponibile Facebook Dating.
“Abbiamo in programma di portare la nostra tecnologia di rilevamento dell’età e gli strumenti di verifica negli altri Paesi in cui è disponibile Facebook Dating, e su più servizi che richiedono la maggiore età per accedere”, ha affermato la società.

La funzione di video selfie

Per la funzione di video selfie Meta ha collaborato con Yoti, la società specializzata in strumenti di verifica dell’età, che con la sua tecnologia e i suoi algoritmi di Intelligenza Artificiale stimerà l’età degli utenti in base ai tratti distintivi del volto. Il video selfie verrà condiviso con Facebook e verrà poi eliminato. In ogni caso, Meta precisa che la tecnologia di Yoti è capace di individuare l’età, e non l’identità dell’utente.
Secondo Meta tramite la verifica di Yoti sono stati scoperti il 96% degli adolescenti che hanno tentato di mascherare la propria età reale. L’81% dei profili a cui è stato chiesto di verificare l’età ha infatti scelto il video selfie piuttosto che l’invio del documento.

Caricare la propria carta d’identità

Si può anche scegliere di caricare un modulo di identificazione per verificare l’età. “Dopo aver caricato una copia del tuo ID, questo verrà crittografato e archiviato in modo sicuro e non sarà visibile sul tuo profilo Facebook o ad altre persone sull’app. Una volta verificata la tua età, puoi gestire per quanto tempo il tuo ID viene salvato – spiega Meta -. Richiediamo che le persone abbiano almeno 18 anni per iscriversi e accedere a Facebook Dating, e gli strumenti di verifica dell’età aiuteranno a verificare che solo gli adulti stiano utilizzando il servizio e contribuiranno a impedire ai minori di accedervi”, chiarisce la società.

“Mantenere le persone all’interno di esperienze adeguate alla loro età”

“Fornire alle persone più di un’opzione per verificare la loro età consente loro di selezionare un metodo che meglio si adatta alle loro esigenze e preferenze. Ad esempio, molte persone non hanno sempre accesso ai moduli di identificazione che rendono chiara la verifica dell’età – aggiunge Meta -. I nostri test di verifica dell’età mostrano che i nostri strumenti stanno funzionando per aiutare a mantenere le persone all’interno di esperienze adeguate alla loro età”.

Il 52% delle grandi aziende si affida ai social media per raccogliere dati di Threat Intelligence

Come possono le aziende difendersi dalle minacce informatiche, specie quelle che arrivano dal dark web? Per saperne di più ed essere prepararti sull’argomento, circa la metà dei dirigenti aziendali italiani (il 52%)  si affida a notizie, blog di settore e social media per ottenere informazioni sulle minacce e sui problemi di sicurezza informatica più urgenti all’interno delle grandi imprese. Lo rivela una recente ricerca condotta da i Kaspersky.

Il ruolo del dark web a seconda dei luoghi

Per le persone che vivono sotto regimi oppressivi che bloccano gran parte di Internet, il dark web è un’ancora di salvezza che fornisce un accesso inestimabile alle informazioni e una protezione dalle persecuzioni. I dark web sono anche reti estremamente sofisticate e complesse utilizzate per attività dannose, che offrono ai criminali un ambiente ideale per svilupparsi, lontano dagli occhi indiscreti delle autorità. La mancanza di indicizzazione standard delle pagine web rende i dark web non ricercabili dagli strumenti di ricerca più diffusi e richiede alti livelli di competenza per poter decifrare e decodificare le attività criminali in corso in varie lingue. Tuttavia, se da un lato le informazioni disponibili pubblicamente forniscono un servizio essenziale per tenersi aggiornati sulle questioni più recenti, dall’altro la dipendenza dal consumo di informazioni sulle notizie di tendenza e più “popolari” potrebbe limitare la CSuite dallo sviluppo di una comprensione complessiva della vera natura delle minacce per la loro azienda e di come agire contro di esse. Per una migliore comprensione, solo il 41% dei C-level intervistati in Italia ha dichiarato di utilizzare attualmente esperti esterni per raccogliere informazioni sulle ultime minacce sofisticate che emergono dal dark web. Per quanto riguarda i vari Paesi, il 50% dei dirigenti di livello C intervistati in Spagna hanno dichiarato che è più probabile che utilizzino esperti esterni per raccogliere informazioni che possono essere discusse durante le riunioni del consiglio di amministrazione, mentre i dirigenti di livello C intervistati nel Regno Unito sono stati i meno propensi ad affermare lo stesso (solo il 34%).

Come tutelarsi e tutelare 

“La nostra ricerca delinea il quadro di una C-Suite che ha bisogno di aiuto per comprendere le minacce alla sicurezza aziendale che si presentano ogni giorno” ha detto David Emm, Senior Security Researcher, di Kaspersky. Il consumo di risorse disponibili pubblicamente e l’aumento del budget destinato alla formazione sono molto importanti per contribuire a sviluppare la consapevolezza, ma il panorama delle minacce è complesso e in continua evoluzione e comprende alcuni dei criminali più motivati e tecnologicamente sofisticati del pianeta. La realtà è che senza un approccio stratificato alla cybersicurezza che combini le risorse di notizie disponibili pubblicamente e la consapevolezza dei social media, con un’intelligence azionabile interpretata dal dark web da esperti, le aziende si difendono solo a metà contro le minacce”.

Alexa, 4 anni di successo in Italia

Secondo l’analisi condotta da GFK con ServicePlan sui Best Brands 2022, quest’anno Alexa è rientrata nella classifica Best Product dei 10 brand più amati dagli italiani. Da 4 anni Alexa è un’insostituibile compagna per i suoi clienti italiani, che dal 2018 hanno generato oltre 17 miliardi di interazioni, di cui 8 miliardi avvenute solo nel 2022.
“A confermare questo successo sono le continue dimostrazioni di affetto da parte degli utenti in tutta Italia, che si affidano quotidianamente ad Alexa per gestire le proprie giornate, dal risveglio fino alla buonanotte”, dichiara Gianmaria Visconti, Country Manager di Amazon Alexa in Italia.

Dalla sveglia alla shopping list i numeri delle interazioni

Quest’anno gli italiani hanno utilizzato Alexa per impostare 800 milioni tra sveglie e timer, 120 milioni di promemoria e 45 milioni di shopping list, e hanno effettuato tramite Alexa 28 milioni di chiamate. Ma gli utenti contano su Alexa anche per conoscere le previsioni del tempo (135 milioni di volte nel 2022), oppure per un aiuto in cucina, con 8 milioni di ricette richieste, o per riprodurre musica (400 milioni di ore). A livello regionale, sebbene la Lombardia sia la prima regione in Italia per utenti attivi, è il Molise la regione con la maggior crescita di utenti attivi nel 2022 (+56%), mentre sono soprattutto i campani ad aver scelto Alexa per la gestione della casa intelligente (62%). E se Roma è la prima provincia italiana per numero di interazioni, Agrigento ha registrato la crescita più significativa (+63%).

Funzioni sempre più smart

Al lancio del 2014 negli Stati Uniti Alexa aveva 13 funzioni disponibili, mentre oggi ne vanta centinaia. All’inizio parlava una sola lingua, oggi invece è disponibile in oltre 75 Paesi e in 9 lingue diverse, e può anche rilevare più lingue nello stesso momento, oltre a essere in grado di cambiare voce con una maschile. In più, grazie allo sviluppo di skill di terze parti, che oggi ammontano a oltre 130mila nel mondo e oltre 5mila in Italia, Alexa continua a diventare sempre più smart. Grazie a questa continua evoluzione, le case degli utenti in Italia stanno diventando sempre più connesse. L’interazione vocale rappresenta il modo più semplice di interagire con la tecnologia: nel 2022 in Italia sono state oltre 1,8 miliardi le interazioni tra i dispositivi intelligenti e Alexa.

Oltre 6 milioni di ore risparmiate

Perché gli utenti hanno trovato proprio nell’assistente vocale di Amazon un punto di riferimento così importante nella propria quotidianità? Perché Alexa è intuitiva per tutti, capisce e interagisce indipendentemente dall’accento, dall’età o dalla familiarità del singolo con la tecnologia. Ed è anche proattiva: sono infatti oltre 600 milioni le azioni svolte tramite Routine da Alexa al posto degli italiani, i quali quest’anno hanno risparmiato oltre 6 milioni di ore impostando timer con Alexa anziché utilizzare lo smartphone, o chiedendole di riprodurre la propria canzone preferita invece di cercarla tra i vari provider. O ancora, spegnendo e accendendo le luci comodamente dal divano con il solo comando vocale.

Via libera al caricabatterie unico dal 2024, e l’ambiente ringrazia

Addio a matasse di cavi per ricaricare gli ormai innumerevoli device elettronici che ognuno di noi possiede. Il Parlamento Europeo ha infatti votato la legge che permetterà agli utenti di utilizzare presto un unico caricatore per i loro dispositivi elettronici. Entro la fine del 2024, tutti i telefoni cellulari, i tablet e le fotocamere in vendita nell’Unione Europea dovranno essere dotati di una porta di ricarica Usb-c. Dalla primavera 2026, l’obbligo si estenderà ai computer portatili. Il Parlamento a Strasburgo si è espresso in modo compatto, con un totale di 602 sì, 13 no, 8 astenuti. 

Un cambiamento epocale

Questa novità legislativa non è un atto da poco, anzi: indipendentemente dal produttore, tutti i nuovi telefoni cellulari, tablet, fotocamere digitali, auricolari e cuffie, console per videogiochi portatili e altoparlanti portatili, e-reader, tastiere, mouse, sistemi di navigazione portatili, cuffiette e laptop ricaricabili via cavo, che operano con una potenza fino a 100 Watt, dovranno essere dotati di una porta USB-C. E, come anticipato, dal 2026 questa normativa riguarderà anche i computer portatili.

Più facile per gli utenti

In sostanza, ai consumatori basterà un solo caricabatterie universale per alimentare tutti i dispositivi. Si tratta di un’innovazione comoda anche per la ricarica rapida, dato che tutti i device che la supportano verranno ricaricati alla medesima velocità. Tra l’altro, questa decisione porterà anche importanti vantaggi in termini di costi: i consumatori potranno arrivare a risparmiare fino a 250 milioni di euro l’anno sull’acquisto di caricabatterie ormai inutili, peraltro evitando di immettere nell’ambiente circa 11mila tonnellate di rifiuti elettronici.

Benefici per la salute e l’ambiente

La nuova legge rientra in un impegno più ampio dell’Unione Europea a ridurre i rifiuti elettronici e a fare scelte sostenibili, per la salute dei cittadini e per quella dell’ambiente. Lo conferma la Sima, Società italiana di medicina ambientale (Sima), che commenta attraverso le parole del presidente, Alessandro Miani: “I rifiuti elettronici sono la categoria di rifiuti che cresce più velocemente nell’Ue e ogni anno in Europa vengono prodotte circa 51mila tonnellate di rifiuti elettronici, 44,7 milioni di tonnellate nel mondo, con un impatto negativo sull’ambiente considerato che i dispositivi elettronici ed elettrici gettati contengono materiali potenzialmente nocivi che generano inquinamento e aumentano i rischi per le persone addette allo smaltimento”. In Italia si stima che ogni cittadino produca circa 16,6 kg di rifiuti elettronici all’anno, ma raramente si esegue un corretto smaltimento di tali prodotti: nel nostro Paese solo il 32,1% dei rifiuti elettronici viene riciclato, contro una media Ue di circa il 40%. “Sul tema sono stati fatti enormi passi avanti, col numero di caricabatterie elettronici passato dai 30 modelli diversi del 2009 alle 3 tipologie standard attualmente in commercio – aggiunge Miani all’Adnkronos -. L’introduzione di un caricatore universale, quindi, avrà innegabili vantaggi sul piano ambientale, perché permetterà di abbattere le quantità di rifiuti elettronici prodotte ogni anno da cittadini che utilizzano smartphone, tablet e altri apparecchi”.

e-commerce: l’identikit delle aziende italiane nel 2022

La piattaforma di marketing intelligence di CRIF ha delineato l’identikit delle aziende di e-commerce italiane nel 2022. Secondo i dati CRIF, le oltre 70 mila aziende che vendono online sono costituite principalmente da società di capitali (53,6%), contro un 29,5% di imprese individuali e un 15,2% di società di persone. Si tratta prevalentemente di aziende di piccole dimensioni, con un fatturato che quasi nel 90% dei casi risulta inferiore ai 5 milioni di euro. Nell’80% circa dei casi hanno meno di 10 dipendenti (meno di 5 nel 64% del totale). La pandemia ha fatto compiere all’Italia un salto evolutivo di 10 anni verso il digitale, in particolare sul fronte dell’e-commerce. Nel 2022 infatti gli acquisti online sono stimati in crescita del +14% (45,9 miliardi di euro), rispetto ai 27 miliardi del 2018.

Hanno sofferto meno la crisi, fatturati e dipendenti in crescita 

In questi ultimi anni difficili, queste aziende hanno sofferto meno la crisi: il 31% di società di capitali ha registrato addirittura un fatturato in crescita nell’ultimo biennio, e nel 30% dei casi si tratta di realtà in crescita anche come numero di dipendenti. Il settore di appartenenza prevalente è quello del commercio all’ingrosso e al dettaglio (51,7% del totale), seguito da attività manifatturiere (17,5%), agricoltura (5%), servizi di informazione e comunicazione (4,6%), e attività dei servizi di alloggio e ristorazione (3,5%). La localizzazione geografica vede al primo posto la Lombardia (18% del totale), seguita da Lazio (9,9%), Campania (9,5%), Veneto (8,8%) ed Emilia Romagna (8,4%).

Più virtuose dal punto di vista della rischiosità commerciale

Da sottolineare anche come le aziende di e-commerce italiane risultino anche più virtuose dal punto di vista della rischiosità commerciale, con una quota di aziende caratterizzate da un livello di rischio molto basso, quasi il doppio rispetto alla media italiana (16,7% del totale vs 9%). Analizzandole sulla base di due score proprietari di CRIF, che misurano la digital attitude e il livello di innovazione, emerge che rispettivamente nel 74% e nel 72,3% dei casi mostrano un grado elevato di digitalizzazione e innovazione.
“Segnali positivi che danno fiducia anche per quanto riguarda la capacità di queste imprese di fronteggiare una situazione economica e geopolitica ancora difficile e incerta”, commenta Simone Capecchi, Executive Director CRIF.

Per loro, contributi a fondo perduto fino al 40%

“Nel contesto del PNRR – continua Capecchi -, lo sviluppo del commercio elettronico delle Pmi in Paesi esteri costituisce uno dei titoli degli strumenti finanziari previsti dal Piano, con contributi a fondo perduto fino al 40% per lo sviluppo piattaforme di e-commerce e di web marketing. E i player finanziari possono giocare un ruolo fondamentale nel supporto alle imprese in questo percorso di sviluppo digitale. Per farlo, è fondamentale una conoscenza approfondita delle imprese stesse, messa a disposizione agevolmente da piattaforme che valorizzino l’intero ecosistema di dati e analytics”. 

I deepfake attaccano le aziende

Sono sempre di più le aziende che hanno segnalato all’Fbi la presenza di persone candidate per un posto di lavoro utilizzando i deepfake. Gli impostori utilizzano video, immagini, registrazioni e identità rubate fingendosi qualcun altro per ottenere una posizione IT da remoto. Può sembrare uno scherzo, ma l’assunzione di un deepfake può portare a seri problemi, come l’accesso a informazioni aziendali e sui clienti. Questo non solo può rappresentare una minaccia per la sicurezza dei dati aziendali, ma in caso di violazione, l’azienda probabilmente non avrà la possibilità di consegnare il truffatore alla giustizia. Il caso citato non è però l’unico modo in cui i truffatori utilizzano i deepfake per trarre vantaggio da un’azienda.

L’obiettivo è sempre il furto di denaro o informazioni sensibili
Con l’evoluzione della tecnologia, gli attaccanti possono utilizzare questo nuovo metodo per raggirare i test biometrici utilizzati dalle banche e dagli scambi di criptovalute per verificare l’identità degli utenti, al fine del riciclaggio di denaro. Secondo il report di Sensity, nove dei 10 principali fornitori di servizi Know Your Customer (KYC) sono molto vulnerabili agli attacchi deepfake. I deepfake sono utilizzati poi anche per lo spear o phishing mirato: il cybercriminale si finge una persona fidata o affidabile facendo leva su meccanismi psicologici. L’obiettivo finale è sempre il furto di denaro o informazioni sensibili. Gli attaccanti possono infatti fingersi dirigenti di un’azienda per ottenere la fiducia di una persona e indurla a consegnare dati sensibili, denaro o accesso all’infrastruttura dell’organizzazione.

Comprendere il pericolo è metà dell’opera
“Comprendere il pericolo è metà dell’opera. Educate i vostri dipendenti e informateli sui nuovi metodi fraudolenti. Un deepfake di alta qualità richiede molta competenza e impegno, mentre i fake usati per le truffe o per l’interazione sincrona durante un colloquio sarebbero probabilmente di bassa qualità. Tra i segni di un deepfake, ci sono movimenti innaturali delle labbra, capelli mal resi, forme del viso non corrispondenti – afferma Vladislav Tushkanov, Lead Data Scientist di Kaspersky -. Tuttavia, gli attaccanti potrebbero intenzionalmente abbassare la qualità del video per nascondere questi artefatti”.

Utilizzare soluzioni di cybersecurity affidabili
“Per ridurre al minimo la possibilità di assumere un dipendente falso, suddividete i colloqui di lavoro in più fasi, coinvolgendo non solo i responsabili delle risorse umane ma anche le persone che lavoreranno con il nuovo dipendente – continua Tushkanov -. In questo modo aumenteranno le possibilità di individuare qualcosa di insolito”.
Anche le tecnologie sono un valido aiuto nella lotta ai deepfake, una soluzione di cybersecurity affidabile garantirà assistenza nel caso in cui un deepfake di alta qualità convinca un dipendente a scaricare file o programmi dannosi o a visitare link sospetti o siti web di phishing. La soluzione antifrode che fornisce l’analisi del comportamento degli utenti e il monitoraggio delle transazioni finanziarie può essere poi una buona opzione per le aziende che utilizzano il KYC, fornendo un ulteriore livello di protezione.

Da settembre 2022 il 35% dei dispositivi Android non sarà più supportato

Lo confermano gli esperti di Bitdefender, società di cybersecurity che ha analizzato i dispositivi che eseguono Bitdefender Mobile Security su Android per capire la distribuzione del sistema operativo sull’intera gamma di smartphone, e il livello di effettiva sicurezza informatica. Il più vecchio Android ancora supportato da Google è la versione numero 10, che raggiungerà la fine del suo ciclo di vita a settembre 2022. A quel punto, il 35% dei dispositivi con tale software sarà sprovvisto di aggiornamenti. In pratica, dal prossimo settembre, quasi un terzo degli smartphone con sistema operativo Android sarà a rischio sicurezza. Oggi i terminali con sistema operativo Android rappresentano circa il 70% del mercato globale mobile, ma quando le versioni iniziano a diventare obsolete gli hacker possono approfittarne per ‘bucare’ le difese, riporta Ansa.

Google supporta solo le ultime tre versioni

Fra pochi mesi quindi aumenterà il numero dei dispositivi non sicuri che si connettono a Internet. Uno dei problemi del sistema operativo Android è la frammentazione, in quanto Google ha rilasciato molte versioni di Android negli ultimi 14 anni e continua a supportare solo le ultime tre. A differenza di iOS, sono ancora in uso dispositivi con versioni Android lanciate anche dieci anni fa e sono molto più diffusi di quanto si possa immaginare. Gli utenti raramente considerano il supporto software quando acquistano uno smartphone e, in generale, finché non si guasta e ‘fa quello che deve’ il dispositivo non viene rottamato. A conti fatti, i vecchi dispositivi rappresentano una comoda porta di accesso per i malintenzionati.

Dispositivi obsoleti a cui le aziende non applicano più le patch

“Quando gli utenti scelgono un nuovo smartphone di solito considerano le dimensioni dello schermo, la facilità d’uso, la potenza di elaborazione, la qualità delle immagini e molte altre caratteristiche – spiegano gli esperti di Bitdefender -. Purtroppo, la durata del supporto del software in termini di sicurezza è raramente un fattore decisivo nella scelta. Se un produttore interrompe il supporto per un dispositivo, l’utente è libero di utilizzarlo, ma quando viene scoperta una vulnerabilità, l’azienda non applicherà più le patch, e sebbene il telefonino svolga ancora le sue funzioni, diventa estremamente vulnerabile. I dispositivi obsoleti e non supportati sono tra i migliori amici dei criminali informatici, soprattutto quelli ancora in uso”.

I dispositivi datati sono una risorsa per gli hacker

Il dispositivo datato è una delle migliori risorse per il malintenzionato, in quanto non riceve più le patch di sicurezza dal produttore e chi li utilizza di solito non perde tempo ad aggiornare il sistema operativo e le app installate.
A parte considerare sempre il periodo di supporto per qualsiasi dispositivo al momento dell’acquisto, è buona norma controllare se uno qualsiasi dei dispositivi intelligenti presenti nella smart home esegue software non più supportato. Come riferisce Tuttoandroid.net, installare l’app Bitdefender Mobile Security sui dispositivi meno recenti è una buona idea, ma è sempre meglio passare a un dispositivo che riceve ancora le patch di sicurezza.

Trasformazione digitale, per le Pmi la fatturazione elettronica è essenziale

Per portare avanti il processo di digitalizzazione delle imprese, più di 3 Piccole e medie imprese italiane su 4 ritengono essenziale la fatturazione elettronica. Secondo l’indagine diffusa da Aruba e Idc, il 46% delle aziende che non ha l’obbligo di fatturazione elettronica la utilizza ugualmente. E gli interlocutori principali per oltre il 71% di chi la utilizza sono altre aziende, per il 17% privati cittadini, e quasi per il 12% la Pubblica Amministrazione. Inoltre, stando allo studio, oltre il 46% delle Pmi invia e riceve mensilmente tra 10 e 100 fatture elettroniche, e quasi il 40% ne riceve tra 100 e 1000.

Un incentivo al processo di digitalizzazione del Paese

Ma in che modo la fatturazione elettronica sta incentivando il processo di digitalizzazione del nostro Paese? La ricerca di Aruba e Idc ha indagato il livello di adozione della fatturazione elettronica tra le Piccole e medie imprese italiane, coinvolgendo un campione di 300 realtà nei diversi comparti, Industria, Commercio, Finanza, Servizi professionali, Servizi alla persona e Pubblica Amministrazione locale. Dai dati emersi dall’indagine risulta che quasi il 75% delle aziende fino a 5 addetti considera la fatturazione elettronica essenziale per la digitalizzazione della propria azienda. Un dato che sale all’83% tra le Pmi che contano tra i 6 e i 20 dipendenti, ovvero quelle che assicurano valori maggiori di fatture.

“Uno strumento essenziale per monitorare il polso dell’economia italiana”

“I traguardi raggiunti in questi tre anni dalla fatturazione elettronica sono encomiabili – commenta Gabriele Sposato, Direttore Marketing di Aruba -. Come si legge nell’atto della Commissione Europea, l’Italia ha ‘pienamente conseguito’ gli obiettivi prefissati, riducendo i costi amministrativi delle imprese e consentendo loro un risparmio di tempo, spazio e sicurezza di archiviazione. Benefici riscontrati anche dalle Pmi italiane, che hanno compreso come la fatturazione elettronica stia aiutando a creare cultura digitale, e come, sempre più, si stia dimostrando uno strumento essenziale per monitorare in tempo reale il polso dell’economia italiana”.

L’obbligo è in vigore dal 1° gennaio 2019

Aruba ricorda che in data 1° gennaio 2019, attraverso la Legge di Bilancio 2018, veniva esteso l’obbligo della fatturazione elettronica a tutti i soggetti in possesso di Partita Iva. A eccezione di quanti operavano in regime dei minimi e forfettario, riporta Adnkronos. Oggi manca solo il via libera dell’Europa per la proroga fino al 31 dicembre 2024 dell’obbligatorietà della fatturazione elettronica, e per l’inclusione delle partite Iva in regime forfettario tra i soggetti a cui si potrà ora estendere l’adempimento.

IoT e RFID al centro della quarta rivoluzione industriale

Alla base della quarta rivoluzione industriale c’è l’innovazione tecnologica, in particolare, l’Internet of Things (IoT) basato sull’RFID (Radio Frequency Identification), che attraverso l’uso delle radiofrequenze consente di identificare e tracciare in modo automatico e univoco ogni oggetto o prodotto su cui è stata applicata l’etichetta. Grazie alla sua capacità di aprire opportunità inedite per aziende di produzione e retailer l’RFID sta vivendo un nuovo slancio, ed entro il 2021 saranno 25 miliardi gli oggetti taggati con RFID, e quindi connessi all’IoT. Ma come emerge dal progetto di GS1 Italy, condotto con l’RFID Lab dell’Università di Parma, se le prospettive sono rosee e le possibilità enormi stanno emergendo anche i problemi.

Un mondo sempre più connesso, trasparente e sostenibile

“Chi ha implementato e sta utilizzando la tecnologia RFID riconosce il grande valore che crea, portando informazioni in tempo reale sullo stato degli oggetti, per ottimizzare i processi, ridurre gli sprechi, aumentare le vendite e migliorare i livelli di servizio – spiega Antonio Rizzi, full professor, industrial logistics & supply chain management dell’Università di Parma -. In un futuro prossimo l’applicazione e l’evoluzione delle tecnologie IoT apriranno orizzonti finora inesplorati, abiliteranno nuovi paradigmi di supply chain, e ci aiuteranno a costruire un mondo sempre più connesso, trasparente e sostenibile”.

Serve uno standard condiviso

Ma senza standard condivisi l’RFID in sé non abilita la piena interoperabilità tra sistemi e la scalabilità dei progetti. Nel momento in cui il business aumenta, e ci si interfaccia con nuovi clienti e mercati di scala sovralocale, l’adozione da parte delle aziende di sistemi proprietari diventa inefficace e insufficiente.
“È per questo che GS1 ha sviluppato l’Electronic Product Code (EPC), uno standard che identifica in modo univoco e inequivocabile i singoli prodotti”, spiega Linda Vezzani, GS1 visibility and RFID standards specialist di GS1 Italy. In pratica l’EPC è una sorta di codice fiscale di ogni prodotto, che permette di identificarlo in modo univoco, catturare le informazioni lungo tutta la catena di approvvigionamento e renderle disponibili attraverso le onde radio.

Grandi potenzialità per le aziende: tre case history

Le potenzialità dell’utilizzo della tecnologia RFID con standard GS1 condivisi sono enormi, e i risultati per le aziende capofila di questo approccio sono interessanti. Qualche esempio? La case history di Decathlon, che ha adottato lo standard EPC/RFID a livello di item su tutti i prodotti presenti negli store, e del Gruppo Bonterre, che l’ha applicato su ogni unità logistica. In entrambi i casi sono stati raggiunti benefici in termini di aumento della visibilità lungo la supply chain, della produttività, dell’affidabilità e del controllo degli stock di magazzino. Significativo anche il caso del Giappone, dove nel 2017 il governo ha avviato una sperimentazione con l’obiettivo dichiarato di arrivare a inserire il tag RFID su tutti i prodotti entro il 2025, abbassandone il costo a circa uno yen.