Italia, il Fisco pesa ancora troppo: è al 48,3%

La pressione fiscale in Italia non molla la presa. Quella reale, infatti si attesterebbe al  48,3%, ovvero 6,1 punti percentuali in più rispetto a quella ufficiale. L’unica buona notizia è che, rispetto al 2014,  si sia leggermente allentata. Ma il tetto resta troppo alto. A rilevarlo è la stima è dell’Ufficio studi della Cgia, che ha condotto un monitoraggio sul trend della pressione fiscale. In una nota, la Cgia scrive che se la pressione risulta “in calo rispetto agli anni precedenti”, il peso complessivo del fisco “rimane comunque ad un livello insopportabile”. E ancora: “Se alle troppe tasse aggiungiamo il peso oppressivo della burocrazia, l’inefficienza di una parte della nostra pubblica amministrazione e il gap infrastrutturale che ci separa dai nostri principali competitori economici, non c’è da stupirsi che serpeggi un certo malessere soprattutto tra gli imprenditori del Nordest. Tra le altre cose, a causa di tutte queste criticità, continuiamo a rimanere il fanalino di coda in Ue per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri” spiega il coordinatore Cgia Paolo Zabeo.

Il 2019 potrebbe essere “tosto”

Non sono confortanti nemmeno le previsioni per il 2019. Stando al rapporto, la pressione fiscale potrebbe crescere “sia perché la crescita del Pil è data in frenata da tutti gli organismi internazionali, sia a seguito di un possibile aumento del prelievo fiscale”. “Nel caso, infatti, non si dovessero trovare 12,4 miliardi di euro, dal 1 gennaio 2019 l’aliquota Iva, attualmente al 10%, salirebbe all’11,5%; altresì, quella attuale del 22% schizzerebbe addirittura al 24,2%” spiega la Cgia, per la quale “è molto probabile” che per il 2019 si dovrà nuovamente mettere mano ai conti pubblici “per quasi 10 miliardi”, oltre a dover reperire circa 2 miliardi di euro per il rinnovo del contratto di lavoro degli statali, ulteriori 500 milioni di spese ”indifferibili” e altri 140 milioni per evitare l’aumento delle accise sui carburanti a partire dal 1 gennaio 2019. La nota riporta ancora che “Viste le difficoltà incontrate con il decreto dignità non è da escludere che almeno una parte di questi 25 miliardi di euro possa essere finanziata attraverso un incremento del prelievo fiscale. Un’ipotesi che l’esecutivo ha scartato da tempo, ma che potrebbe essere costretto a ricorrere in mancanza di alternative”.

Come è stato effettuato il calcolo

Il rapporto della Cgia spiega anche come è stato calcolato il dato sulla pressione fiscale stimata:  si basa sul calcolo di un Pil nazionale che include anche l’economia non osservata, riconducibile alle attività irregolari che, non essendo conosciute al fisco, almeno in linea teorica non versano né tasse, né imposte e né contributi. E secondo l’Istat, prosegue la nota, l’economia non osservata nel 2015 ammontava a 207,5 miliardi di euro (pari al 12,6 per cento del Pil). E lo stesso parametro è stato adottato dall’Ufficio studi della Cgia per gli anni 2016, 2017 e 2018.  “Siccome la pressione fiscale ufficiale è data dal rapporto tra le entrate fiscali/contributive e il Pil prodotto in un anno, nel 2018 questa è destinata a scendere al 42,2% al lordo del bonus Renzi” precisa la nota pubblicata da AdnKronos. “Tuttavia se ‘togliamo’ dalla ricchezza prodotta la quota addebitabile al sommerso economico e alle attività illegali che, almeno in linea teorica, non producono nessun gettito per l’erario, il Pil diminuisce (quindi si riduce il denominatore) facendo aumentare il risultato che emerge dal rapporto” conclude la Cgia. Quindi “la pressione fiscale ‘reale’ che grava su lavoratori dipendenti, sugli autonomi, sui pensionati e sulle imprese che pagano correttamente le tasse è superiore a quella ufficiale di 6,1 punti: per l’anno in corso è destinata ad attestarsi al 48,3%”.